(di Vincenzo Falci, Giornale di Sicilia) In dieci andranno sotto processo per un ammutinamento in carcere. Con tanto di minacce che, in particolare uno di loro, avrebbe rivolto al comandante di reparto. E, come chiesto dalla procura, per il piccolo plotoncino di detenuti è scattato il processo. Siederanno sul banco degli imputati, i trentaduenni Michele Eros Fiandaca e Kristian Michele Guagliardo – nisseni – il trentaduenne Salvatore Verga, il trentatreenne Pietro Aiello, il ventisettenne Francesco Paolo De Luca, il quarantasettenne Pietro Seggio – tutti di Palermo – il quarantottenne Sebastiano Lanzafame, il quarantenne Cesare Lizzio, il venticinquenne Pietro Pulvirenti – tutti e tre catanesi – e il trentaseienne Carmelo Gerbino di Messina (difesi dagli avvocati Antonio Impellizzeri, Ernesto Brivido, Maria Francesca Assennato, Maximilian Molfettini, Domenico Bellotta, Giulio Bonanno, Chiara Maria Russo, Mario Collodoro e Rosario Arena).
Nei loro confronti il pm Simona Russo ha chiesto e ottenuto dal gip Grazia Luparello il rinvio a giudizio per l’ipotesi di interruzione di un ufficio o servizio pubblico. E in più per il solo Verga, indicato un po’ come il capopopolo del gruppo di reclusi, dovrà rispondere anche di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. È alla casa circondariale «Malaspina» che s’è accesa questa sorta di sommossa. Era la mattina del 22 dicembre di due anni fa. E nell’aria serpeggiava già malumore a causa di un provvedimento disciplinare che era stato adottato nei confronti dei reclusi per una precedente burrascosa vicenda di tre giorni prima, il 19 dicembre, sempre all’interno dello stesso carcere.
Così quel giorno il gruppetto di detenuti ora rinviato a giudizio è stato protagonista di una vera e propria sollevazione, rifiutandosi di entrare in cella, nelle aree di socialità e in cortile. In più il solo Verga sarebbe andato oltre. Perché rivolgendosi al comandante di reparto della polizia penitenziaria lo avrebbe avvertito con una frase del tipo «qua voi non comandate, scafazzato che non sei altro, non hai capito niente che ti metto un carcere sotto sopra». E lo avrebbe pure minacciato intimandogli di ritirare lo “j’accuse“, in relazione a quanto era accaduto tre giorni prima in carcere, per evitare di fomentare altri disordini all’interno della stessa struttura penitenziaria. (*VIF*)