Pubblicato il: 05/06/2023 alle 09:18
"Le ho dato due coltellate alla gola. Lei ha tentato di divincolarsi, ma non ci riusciva, lo faceva in modo debole". Sono le parole con cui Alessandro Impagnatiello, interrogato dal gip, racconta l'omicidio della sua fidanzata. Giulia Tramontano, 29 anni, ormai al settimo mese di gravidanza, stava per diventare madre del loro bambino. Ma questo non ha fermato l'omicida che già da qualche tempo aveva iniziato una relazione con un'altra ragazza. Le due si erano anche incontrate e pare si sarebbero date conforto a vicenda parlando delle "vessazioni psicologiche" di lui. Una situazione che lo avrebbe fatto sentire "stressato". Altra parola usata davanti al gip da Impagniatiello. Un delitto, l'ultimo di una lunga serie tutta italiana, che ha sconvolto l'opinione pubblica per la freddezza e l'assoluta insensibilità dell'omicida. Col dottore Fabio Di Pietra, responsabile del reparto di Psichiatria dell'ospedale Sant'Elia di Caltanissetta, abbiamo tentato di fare un'analisi della vicenda e dei suoi protagonisti.
Dottore Di Pietra cosa ha pensato quando ha letto di questo ultimo caso di cronaca? Nelle ultime ore tanti gli sviluppi, con particolari agghiaccianti…
Ho provato una profonda pena per la giovane vittima e mi sono ritrovato a pensare che possa avere avuto difficoltà a svincolarsi da una relazione probabilmente tossica con un individuo certamente poco empatico. Non ho avuto tempo né particolare interesse a seguire i particolari che i media, con attenzione forse morbosa, hanno proposto a lettori e spettatori curiosi, sapendo che non avrei trovato elementi pienamente attendibili per una lettura psicologica non superficiale dell’accaduto. In passato ho lavorato come perito e consulente in diversi processi e ho avuto modo di sperimentare che gli elementi considerati rilevanti dai giornalisti poiché appetibili per i lettori erano spesso distanti da quelli che destano desiderio di conoscenza negli addetti ai lavori. Mi piacerebbe sapere qualcosa sulla qualità delle relazioni familiari e dello sviluppo dei soggetti coinvolti nella vicenda, avere modo di cogliere tutti gli aspetti della personalità dei due giovani, o anche della terza ragazza in qualche modo coinvolta, e so che troverei poco spulciando le interviste e gli articoli. Posso dire che l’autore dell’omicidio, per come viene descritto, appare un soggetto con una strutturazione personologica di tipo narcisistico, volto allo sfruttamento interpersonale, e insensibile al sentire altrui, probabilmente incapace di provare empatia e alieno ad una sensibilità che ci si aspetta dagli umani, ma non ho a disposizione una biografia attendibile della vittima e dei suoi stili di attaccamento.
Come può una persona che conduce una vita pressoché normale trasformarsi in un mostro senza scrupoli?
Non è difficile, per molti, assumere parvenze di normalità o anche di mostrarsi brillanti, sicuri, apparentemente gentili e sensibili per raggiungere gli scopi desiderati. Mi piace tuttavia ricordare che, a proposito delle caratteristiche delle persone sane, Freud affermava che consistessero nella capacità di amare, lavorare e tollerare la frustrazione. Se guardiamo le cose da questo punto di vista, credo che la capacità di amare e di tollerare la frustrazione dell’autore di questo orrendo delitto fossero seriamente compromesse. Distinguerei anche il concetto di “normalità” da quello di “salute mentale”. La normalità è un concetto che appartiene alla statistica, utile nelle scienze sociali ma non dirimente – preso a se’- in psicopatologia. Avere comportamenti condivisi con la maggioranza delle persone rende “normali” ma non automaticamente “sani”. Da qui a poter dire che disturbi di personalità di tipo narcisistico o antisociale siano tali da ridurre o compromettere la capacità di intendere e di volere il passo è, fortunatamente, lungo. Non esistono attenuanti o scudi di tipo psichiatrico forense che possano consentire ad individui come questi di ottenere sconti di pena o agevolazioni di sorta, se si tratta soltanto di questi disturbi di personalità.
Quali sono i segnali che la vittima può cogliere e intercettare per capire che è in pericolo?
Trovo improbabile che la vittima non abbia avuto modo di conoscere, nell’esperienza della convivenza, la scarsa propensione alla verità del compagno e i suoi atteggiamenti mistificatori e manipolatori. Al pari di tante ragazze che si trovano invischiate in relazioni “tossiche”, centrate sul bisogno e sulla dipendenza piuttosto che sul desiderio e sulla libertà, potrebbe avere incontrato difficoltà a separarsi (mettiamo in conto anche il fatto che aspettava un bambino dal compagno) e abbia potuto scegliere di minimizzare o non vedere i segnali allarmanti che le pervenivano, mossa da timori e insicurezze chissà quanto profonde. Ma nessuno potrà più, ahinoi, parlare con lei e avere notizie di prima mano e attuali sui suoi vissuti.
Un caso di femminicidio in cui oltre alla madre perde la vita un bimbo non ancora nato. Siamo di fronte a un’assoluta insensibilità.
Molti hanno scritto che l’autore dell’omicidio stava per diventare nuovamente padre. Mi permetto di correggere quest’affermazione ricordando Dostoevskij che scriveva: “Colui che genera un figlio non è ancora un padre, un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno”