L’inchiesta sul presunto dossieraggio di centinaia tra politici, manager e personaggi pubblici ha ricevuto una spinta decisiva dalla Direzione nazionale antimafia. E’ stato proprio l’attuale procuratore capo, Giovanni Melillo, a consegnare alla procura di Roma gli accessi ritenuti anomali effettuati da un finanziere in servizio presso il suo ufficio, assegnato al gruppo di lavoro che si occupava delle segnalazioni di transazioni finanziarie sospette. Gli accessi sotto indagine (prima della procura di Roma, adesso della procura di Perugia cui il fascicolo è stato trasmesso per competenza) non sono stati fatti tutti dagli uffici della Direzione nazionale: molti anche da quelli della Finanza. Anche perché altrimenti il militare avrebbe avuto accesso soltanto a una parte delle cosiddette Sos (Segnalazione di operazione sospetta).
Il sistema prevede infatti che la Banca d’Italia invii le Sos alla Finanza, alla Dna, in alcuni casi anche alla Dia (la Direzione investigativa antimafia) e ai Servizi, con lo scopo di lavorarle. Per come arrivano in origine, infatti, sono dati neutri (bonifici ricevuti dall’estero, transazioni ripetute, pagamenti oltre una certa soglia) che di per sé non significano nulla ma che appunto meritano approfondimenti.
Lo scorso anno le segnalazioni sono state circa 145mila: circolano in rete criptate e soltanto in determinati casi si possono aprire. Dalla Dna, per esempio, possono essere visionate soltanto quelle che in qualche maniera attengono a persone e circostanze già presenti nell’archivio dell’Antimafia. Ecco perché il finanziere indagato talvolta ha consultato i fascicoli fuori dagli uffici di via Giulia.
Il militare, interrogato dai pm, ha negato ogni tipo di dossieraggio spiegando che quelle ricerche venivano effettuate “di impulso”, cioè in coordinamento con il magistrato responsabile della sezione presso la Dna, Antonio Laudati. La procedura era: nessuna richiesta scritta e non per forza un’informativa finale dopo la lavorazione della Sos. Per questo non si trovano le tracce degli input dei suoi superiori.
Al di là di come finirà l’inchiesta, però, Melillo ha voluto da subito cambiare l’organizzazione dell’ufficio: mentre, infatti, l’ex procuratore di Napoli dava impulso all’indagine di Roma sugli accessi abusivi, ha cambiato radicalmente l’impianto. Oggi tutte le procedure devono essere tracciate e dietro ogni interrogazione alla banca dati ci deve essere una richiesta motivata, per iscritto. Se per ragioni di velocità la richiesta è fatta a voce, gli agenti di polizia giudiziaria devono rispondere per iscritto spiegando che fanno riferimento a un’indicazione ricevuta “oralmente”. L’ufficio fa capo direttamente ora al procuratore nazionale ed è organizzata con quattro sostituti.
“Gli accertamenti – ha spiegato infatti il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, che coordina le indagini – vengono condotti con la piena collaborazione e in totale sintonia con il procuratore nazionale antimafia che aveva, già prima dell’avvio delle indagini, provveduto a riorganizzare radicalmente il servizio Sos”. In realtà oggetto delle interrogazioni – proprio come nel caso del ministro Guido Crosetto, la cui denuncia ha dato il via alle indagini – non sarebbero soltanto le Sos ma più in generale banche dati fiscali da cui si estraggono dati sensibili. Solo una piccola parte di essi è finita sui giornali.
“Da aprile l'ufficio sta proseguendo, in assoluta riservatezza, le indagini preliminari, che si sono ovviamente estese rispetto all'ipotesi originaria di violazioni di notizie riservate in danno del ministro Crosetto e sono state già sentite numerose persone ed esaminata una rilevante quantità di documenti”, spiega ancora Cantone. Resta da capire chi e perché abbia chiesto quelle ricerche. E soprattutto se e a chi siano state consegnate.