«Borsellino voleva arrestare l’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco o fare arrestare Giammanco. Borsellino ha organizzato un incontro segreto con l’allora colonnello del Ros dei carabinieri Mori e del capitano De Donno, il 25 giugno del 1992, perché aveva scoperto qualcosa di tremendo sul conto del suo capo. Si parla contrasti e circostanze talmente gravi che lo hanno convinto che quel suo capo era un infedele».
È quanto affermato dall’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice ucciso a Palermo 31 anni fa, davanti alla commissione antimafia.
«L’incontro avvenne alla caserma Carini. Fu un incontro rapido e lui andrò dritto al punto: voleva approfondire l’inchiesta su appalti e mafia aggiungendo “voi dovete riferire solo a me”».
Il legale ha citato anche l’audizione di Maria Falcone davanti al Csm in cui, nel trigesimo della morte del fratello, riferì che Borsellino le disse «state calmi che sto scoprendo cose tremende, inimmaginabili consigliandole di non fare una campagna contro Giammanco».
«Ho un conflitto d’interesse di tipo emotivo. Lo ammetto». Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino e marito della figlia del giudice ucciso a Palermo nel 1992, nel corso dell’audizione davanti alla commissione antimafia. Trizzino ha poi aggiunto: «Ai siciliani dico che se ci hanno messo trent’anni per fare la Palermo-Messina dico di leggersi il rapporto “Mafia appalti” perché lì c’è scritto tutto».
«Chi decise la strategia di attacco fu Totò Riina che costituì la super «Cosa» che vedeva coinvolti gli uomini che misero a punto le stragi tra cui Matteo Messina Denaro.
Riina se ne assunse in proprio la responsabilità di via D’Amelio, si comportò da vero dittatore».
Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice Paolo Borsellino, nel corso dell’audizione davanti alla commissione antimafia.