“Nel 2002 ho avuto una vicenda giudiziaria nell’ambito della operazione ‘Cobra’ a Roma per concorso esterno in associazione mafiosa. In primo grado ero stato condannato a un anno e 4 mesi per poi essere assolto in Appello. In quel processo divenni parte offesa. Fu così che nel 2004 Antonello Montante cominciò a sferrare attacchi sempre più cruenti nei miei confronti strumentalizzando le mie vicende giudiziarie per farsi spazio all’interno dell’associazione degli industriali”. A raccontare l’inizio dell’ascesa di Antonello Montante in Confindustria, è Pietro Di Vincenzo, teste e parte offesa del processo sul cosiddetto “Sistema Montante”, nel corso dell’udienza di oggi nell’aula bunker di Caltanissetta.
“Montante – ha continuato l’ingegnere Di Vincenzo rispondendo alle domande del Pm Maurizio Bonaccorso – iniziò a diffondere sulla stampa il fatto che ci fosse una competizione tra me e lui. Utilizzava la mia notorietà per farsi strada. Cominciò a dire che doveva liberare Confindustria dalla mafia e sbarazzarsi non solo di Pietro Di Vincenzo ma di tutti coloro che rappresentavano la vecchia guardia. Questo perché molti di noi imprenditori non lo vedevano di buon occhio, primo per i suoi rapporti con Vincenzo Arnone. Ma a parte questo millantò una laurea honoris causa conferitagli dall’università La Sapienza. Cosa che non era vera e che creò molto imbarazzo. Montante inoltre aveva un linguaggio poco adeguato per poter rappresentare gli industriali”.
Di Vincenzo ha poi aggiunto: «L’ascesa di Antonello Montante a presidente di Confindustria fu possibile anche grazie ai suoi rapporti con il questore Filippo Piritore». Piritore non è tra gli imputati ma oggi nel corso dell’udienza il suo nome è stato più volte tirato in ballo da Di Vincenzo. “Il questore Piritore – ha aggiunto il teste – ha messo nelle condizioni Montante di essere eletto come presidente degli industriali facendogli avere tutti i voti dell’Eni, per il tramite del capo della sicurezza dell’Eni, che si era sempre astenuta proprio per la sua posizione preponderante». Sempre sul questore Piritore Di Vincenzo ha raccontato di un altro episodio: «Non mi diede la tutela nonostante due malviventi, Angelo Palermo e Pietro Riggio, furono intercettati mentre parlavano all’interno del ‘circolo Fogliettò delle minacce che mi erano state inviate. I due si lamentavano che non erano servite a nulla. A seguito di questo fatto il commissario Staffa ritenne opportuno richiedere una tutela nei miei confronti ma a questa richiesta il questore Piritore non ha dato seguito. Tra l’altro in questo dialogo si parlava di fare un assalto a casa mia dove vivevo con mia mamma, in campagna, con un rapimento».