"Le mie aziende erano oggetto di attentati e Antonello Montante mi disse che poteva mettermi in contatto con Vincenzo Arnone per sistemare le cose. Ringraziai e dissi di no". Lo ha detto l'ingegnere Pietro Di Vincenzo, sentito come teste e parte offesa nell'ambito del maxi processo sul "Sistema Montante" che si celebra a Caltanissetta. Il riferimento è a Vincenzo Arnone, boss di Serradifalco condannato in via definitiva per associazione mafiosa. L’imprenditore nisseno Pietro Di Vincenzo, al quale è stato confiscato un patrimonio di 264 milioni e 565 mila euro per sospetti di contiguità con soggetti mafiosi, è stato presidente degli industriali di Caltanissetta e della Sicilia, è stato indagato per concorso in associazione mafiosa, nel 1992, e prosciolto. E poi è stato assolto nel 2009 dalla Corte d’Appello di Roma in un’inchiesta che coinvolse la cosca Rinzivillo di Gela. Secondo la ricostruzione degli inquirenti proprio sulle vicende giudiziarie di Di Vincenzo Antonello Montante avrebbe iniziato la sua carriera come paladino dell'Antimafia.
Di Vincenzo, rispondendo alle domande del Pm Maurizio Bonaccorso su Antonello Montante ha ripercorso la sua attività come imprenditore. "Cominciai la mia attività come imprenditore nel 1977 dopo avere conseguito la laurea in ingegnera civile. Iniziai con una ditta individuale che iscrissi all’unione degli industriali della provincia di Caltanissetta che poi cambierà la denominazione in Assindustria e poi in Confindustria. Immediatamente dopo essermi iscritto all’unione degli industriali, insieme a Francesco Averna, fondammo il gruppo dei giovani imprenditori. Sin dall’inizio abbiamo avuto un rapporto di grande collaborazione. Contestualmente ho iniziato a fare parte dell’Ance, una costola di Confindustria che ha varie sezioni nei territori. Ho assunto il ruolo di presidente dei costruttori edili. Ho assunto poi delle cariche a livello regionale come vicepresidente di Confindustria Sicilia e presidente di Ance Sicilia. Nell’ambito di Assindustria ho conosciuto Montante a metà degli anni ’90. I nostri rapporti sono stati sempre abbastanza lineari tra associati in Assindustria. Un rapporto che rimaneva entro gli argini dell’associazione degli industriali. Solo in un episodio i rapporti sono andati un po’ oltre e questo è avvenuto nel 1996".
"Tra la fine del ’95 e inizio del ’96 – spiega Di Vincenzo, rispondendo alle domande del Pm Maurizio Bonaccorso – i miei cantieri sono stati oggetto di attentati incendiari e dinamitardi che puntualmente denunciavo. Fatti che venivano riportati sulla stampa e per i quali ricevevo solidarietà. Un giorno Montante, dopo la sua elezioni a presidente dei giovani imprenditori, venne a trovarmi in ufficio: era il 30 aprile del ’96. Mi espresse la sua solidarietà e mi offrì aiuto dicendomi che poteva mettermi in contatto con il suo compare Vincenzo Arnone al fine di sistemare le cose".
Alla domanda dell'avvocato di Montante, Giuseppe Panepinto se si parlò esplicitamente di denaro Di Vincenzo ha così risposto: "Non mi parlò esplicitamente di denaro ma per me era evidente che si riferisse a una situazione con esborso di denaro per far finire gli attacchi della criminalità organizzata. Per la mia esperienza di imprenditore tutte le volte che qualcuno si è messo in mezzo per 'mettere le cose a posto' mi è stato poi chiesto del denaro. A quel punto – ha continuato il suo racconto Di Vincenzo – feci buon viso a cattivo gioco, lo ringraziai e gli dissi che non era il caso. Già pagavo il pizzo ad altri soggetti e quindi non ritenevo di aggiungere altri sanguisuga alla mia tasca. Da allora ho sempre cercato di avere con lui un atteggiamento garbato ma con una notevole diffidenza nei suoi confronti".