Pubblicato il: 21/01/2015 alle 09:28
In una donna, più aumenta a pancia più crescono i dubbi sulla salute del proprio figlio, sui rischi ai quali si incorre e quali alternative possono essere valutate. E’ consueto, ormai, che le pazienti, varcando la nostra porta, già chiedono: “Dottoressa, sono entrata al terzo mese di gravidanza, cosa devo fare?” hanno commentato la ginecologa Daniela Anzelmo e l’ostetrica Cettina Andaloro.
“Solitamente in questo mese viene effettuata una importante ecografia non obbligatoria ma consigliabile nei casi in cui si sospettino patologie cromosomiche del feto, e considerata molto importante dalla maggior parte dei ginecologi. Si tratta dell'esame della Traslucenza Nucale, che permette di rilevare una eventuale sindrome di Down attraverso la misurazione dello spessore della plica nucale del feto, cioè della massa liquida della nuca del feto”.
Le esperte spiegano che tale esame non invasivo va effettuato tra la 11a e la 13a settimana attraverso una semplice ecografia, che prevede oltre alle misurazioni eseguite in una normale ecografia standard del primo trimestre, che permetterà al medico di verificare anche lo sviluppo degli organi interni del bambino, anche due misurazioni specifiche che sono la traslucenza nucale e l’osso nasale. In alcuni casi è possibile stabilire il sesso del piccolo ma non è detto che sia sempre visibile. Lo spessore eccessivo della traslucenza nucale indica il rischio (ma non la certezza) di malattie dei cromosomi del feto. A tale esame si può aggiungere il Bi-test: esame non invasivo (semplice prelievo del sangue) in cui si valuta la quantità di 2 ormoni, Free betaHCG e PAPP-A, prodotti dalla placenta. La valutazione parallela di Traslucenza nucale e bi-test viene chiamato Ultrascreen. L'ultrascreen permette di calcolare il rischio personale di sindrome di Down ed altre anomalie cromosomiche, quali trisomia 13 e 18, sulla base dell’età materna, di un prelievo di sangue (per il dosaggio delle proteine placentari free-betaHCG e PAPP-A) e dei dati dell’ecografia, che valuterà, insieme alla lunghezza del feto, lo spessore della translucenza nucale e la presenza dell’osso nasale. I valori ecografici rilevati insieme ai valori delle proteine sieriche vengono inseriti in un programma di calcolo statistico che elabora il rischio specifico per la singola paziente. La sensibilità (o attendibilità) del test ha raggiunto il 98%, che è un valore altissimo per un test diagnostico, tenuto conto del fatto che nessun test in medicina ha una sensibilità del 100%. Quindi se la paziente ha come risultato del test un “basso rischio” ha il 98% di possibilità che il proprio bambino sia sano, mentre se ottiene un “rischio elevato” vuol dire che non è certo che ci sia un problema, ma solo che può essere opportuno un approfondimento e quindi la paziente dovrà sottoporsi alle indagini di approfondimento, con l’analisi dei cromosomi del feto, che darà il risultato certo se il feto è sano o affetto da trisomie o patologie cromosomiche. Considerato il fatto che la villocentesi così come l’amniocentesi sono procedure invasive, non scevre da rischi di perdite fetali intrinsecamente legate alle procedure, (pari allo 0,5% se eseguite da mani esperte), l’ultrascreen consente alle pazienti di poter prendere una decisione più serena sul futuro della propria gravidanza, poiché se il rischio è basso si ha il 98% di tranquillità che il feto non sia affetto da trisomie e si può evitare la diagnosi prenatale invasiva, che viene riservata quindi ai casi in cui il rischio è elevato, oltre ovviamente ai casi che la richiedono specificamente, cioè nelle pazienti di età avanzata o in quelle che la richiedono per libera scelta.
Per approfondire: Sono incinta! Il diario della gravidanza e i suggerimenti delle esperte