Pubblicato il: 11/03/2015 alle 08:00
Quando si sente il termine “grassi” la prima cosa che si pensa, anche per assonanza, è che questi “fanno ingrassare” e, come conseguenza, vengono considerati “piccoli demoni” pronti ad attentare la nostra linea. Questa è, purtroppo, una convinzione dura a morire, che andrebbe invece sostituita con un’attenzione alla qualità dei grassi che ingeriamo in quanto non tutti i grassi sono uguali.
Abbiamo chiesto chiarimenti in merito alla nutrizionista Alessandra Cucchiara che ha spiegato nel dettaglio la differenza tra le differenti tipologie di grassi che si trovano negli alimenti e come comprendere quello che si legge nelle etichette degli alimenti. “Conoscere i tipi di grassi contenuti nei vari cibi- ha spiegato – è fondamentale per fare degli acquisti sani”.
Nella tabella nutrizionale troviamo la percentuale dei grassi “saturi” e “insaturi”. I grassi saturi sono presenti prevalentemente nei prodotti di origine animale (burro, carni, salumi, formaggi), ma li troviamo anche nel mondo vegetale (soprattutto nell’ olio di palma, di colza e di cocco). Gli acidi grassi saturi, se in eccesso nella dieta, fanno aumentare molto il livello di colesterolo nel sangue, ne è consigliata quindi un’assunzione limitata, non devono superare il 10% delle calorie giornaliere.
Gli acidi grassi insaturi comprendono i monoinsaturi e i polinsaturi. I grassi monoinsaturi si trovano in abbondanza nell’olio di oliva, fanno diminuire il colesterolo LDL, ovvero quello che è definito “cattivo” e che fa aumentare l’HDL e quello “buono”. I grassi polinsaturi sono meglio conosciuti come omega 3 e omega 6 (acidi grassi essenziali, ovvero devono essere introdotti necessariamente tramite la dieta). Gli omega 3 si ritrovano principalmente nel pesce, negli oli di pesce, nelle noci e nei semi di lino: questi abbassano i livelli plasmatici dei trigliceridi. Mentre gli omega 6 si trovano in alte percentuali negli oli vegetali (mais, girasole, soia) : abbassano la colesterolemia, riducendo i livelli plasmatici del “colesterolo cattivo”, ma questo beneficio è in parte attenuato dal fatto che riducono anche il colesterolo “buono”. Ad essere importante non è tanto la quantità di tali grassi, ma il loro rapporto che deve essere di 1 a 10 per svolgere in modo adeguato le loro funzioni, rapporto che negli ultimi anni si è sbilanciato a favore degli omega 6 per diverse ragioni, tra cui l’aumentato consumo di oli vegetali, il limitato consumo di pesce e la minor presenza di omega 3 nel pesce di allevamento rispetto a quello pescato.
In etichetta inoltre troviamo i grassi “vegetali idrogenati” e quelli “non idrogenati”. Ma quale processo seguono? Si parte da un normale olio (polinsaturo) sottoposto ad alte temperature (180°) in presenza di un catalizzatore (nichel) a cui si aggiungono atomi di idrogeno: il grasso da insaturo diventa saturo. Un esempio ne è la margarina che non ha proprio nulla di naturale. Attenzione a quando troviamo scritto “non contiene grassi idrogenati” poiché non è comunque garanzia di qualità. Si tratta di grassi che si ottengono tramite un processo chiamato “frazionamento” nel quale si toglie dall’olio la parte liquida ottenendo solo la parte solida, costituita, però, in prevalenza di grassi saturi. Alcuni esempi di prodotti che contengono “olii vegetali non idrogenati”? Solo per citarne alcuni la nutella, le fette biscottate, i biscotti, le merendine, le torte, i crackers.
Pertanto in base alla tipologia di grassi che mangiamo faremo del “bene” o del “male” al nostro corpo ma, in linea di principio, non devono comunque essere demonizzati: oltre a dare il gusto ai nostri piatti, ne abbiamo bisogno perché sono la base strutturale delle membrane di tutte le cellule del nostro corpo. Basta, dunque, semplicemente sapere se il nostro grasso è un “amico” o un “nemico” e prendere così le dovute cautele.
Per approfondire: Sai quel che mangi? I consigli dell’esperta per una dieta equilibrata