Pubblicato il: 04/05/2024 alle 17:35
(di Vincenzo Falci, Giornale di Sicilia) Ergastolo confermato per due capimafia e sconto di pena per un boss e un sospetto fiancheggiatore. Così nel processo d’appello ai quattro imputati alla sbarra per il delitto del barista gelese Giuseppe Failla, assassinato nel novembre di trentasei anni fa.
Nulla è mutato per il rappresentante provinciale di Cosa nostra, il boss vallelunghese Giuseppe «Piddu» Madonia e per il boss sancataldese Cataldo Terminio (assistiti dagli avvocati Flavio Sinatra, Cristina Alfieri ed Eliana Zecca) che restano inchiodati sulla condanna al carcere a vita.
Fortissimo sconto di pena per l’ex capo della famiglia di Cosa nostra a Caltanissetta, Angelo Palermo (assistito dall’avvocato Giuseppe Piazza) che è passato dall’ergastolo alla pena a 21 anni di reclusione, così come il presunto basista, il gelese Angelo Bruno Greco, che s’è visto più che dimezzare la condanna scendendo dai 30 in primo grado ai 14 anni di adesso (assistito dall’avvocato Sergio Iacona).
Per tutti sono cadute le aggravanti del concorso e dei motivi futili e per gli ultimi due, i cui legali hanno già preannunciato che impugneranno il verdetto in Cassazione, anche della premeditazione.
Resta fermo il diritto al risarcimento dei danni già riconosciuto ai familiari della vittima (assistiti dall’avvocato Giovanni Bruscia) secondo l’entità che verrà poi stabilita in un procedimento di natura civile. Questo il verdetto emesso ieri dall’Assise d’Appello presieduta da Andreina Occhipinti (consigliera Gabriella Natale) che, come da dispositivo, motiverà le decisioni entro novanta giorni. E per questo periodo sono stati sospesi i termini di custodia cautelare per Terminio
Il movente dell’agguato, secondo la tesi accusatoria, si celerebbe proprio nella sete di vendetta dello stesso Terminio. Sì, perché avrebbe voluto lavare con il sangue l’uccisione del padre Nicolò, caduto in un agguato a San Cataldo il 17 aprile del 1982, per mano di un gruppo di “stiddari selvaggi” di cui Failla, per Terminio, sarebbe stato esponente. E proprio lui, secondo l’impianto accusatorio, avrebbe premuto il grilletto quella mattina del 9 novembre 1988 uccidendo il barista mentre si trovava dietro il bancone del locale.
Nell’azione, sempre secondo lo spaccato accusatorio, Palermo avrebbe fatto da autista, mentre Greco sarebbe stato il basista. Da «Piddu» Madonia, invece, per il suo ruolo di rappresentante provinciale di Cosa nostra, sarebbe arrivato il nullaosta per l’uccisione di Failla.