Pubblicato il: 27/08/2013 alle 18:20
Dire al marito “ti uccido” durante una banale lite tra coniugi non può considerarsi una minaccia grave. Lo ha stabilito la Cassazione, quinta sezione penale. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di una donna condannata per minaccia dal giudice di pace di Acireale; decisione poi confermata dal Tribunale di Catania. La donna ha impugnato la sentenza dei Tribunale e la Cassazione lo ha rigettato, giudicandolo al limite dell'inammissibilità. “Con riferimento alla gravità della minaccia – si legge nella sentenza – devono escludersi vizi motivazionali” prefigurati nel ricorso. “Èdel tutto coerente, oltre che conforme ai principi pacificamente affermati da questa sezione, l'affermazione dell'esistenza del reato di minaccia e l'esclusione dell'aggravante, poiché nel reato di minaccia è essenziale la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi in concreto”. “Quanto invece alla gravità della minaccia, essa va accertata avendo riguardo a tutte le modalità della condotta e in particolare al tenore delle eventuali espressioni verbali e al contesto nel quale esse si collocano”, “per cui appare del tutto logica la motivazione con cui tale aggravante è stata esclusa, in considerazione del fatto che le parole furono pronunciate nel corso di una banale lite tra coniugi separati”.