Pubblicato il: 21/06/2024 alle 11:28
(Adnkronos) – L’idrosadenite suppurativa (Hs) è “una patologia misconosciuta che debilita notevolmente la qualità della vita dei pazienti. Si presenta con lesioni di vario tipo: noduli e ascessi fino a fistole, con tragitti fistolosi profondi, anche confluenti, nelle fasi più avanzate”. La malattia “merita un'attenzione da parte della comunità scientifica, e anche delle istituzioni, perché, veramente, va a impattare sulla vita socio-relazionale di questi pazienti”. Lo ha detto Mario Valenti, dermatologo e ricercatore Irccs Istituto Clinico Humanitas Rozzano, in occasione di un evento di confronto tra clinici, pazienti e aziende, organizzato in occasione della Giornata mondiale dell’idrosadenite suppurativa, che si celebra il 6 giugno. (Video Valenti) L’Hs una dermatosi cronica infiammatoria ricorrente e invalidante del follicolo pilifero che colpisce soprattutto persone tra i 18 e i 44 anni soprattutto le donne (3 volte più degli uomini). “Sono tante le problematiche che devono affrontare i pazienti” con questa malattia infiammatoria della pelle che “si manifesta” con “esiti cicatriziali, anche importanti, e necrosi delle parti interessate: prevalentemente a livello di ascelle, glutei e inguine, ma anche del cuoio capelluto, del volto, del collo della schiena e del petto”, spiega Giusy Pintori, presidente dell’associazione Patient People Aps. “Sicuramente – continua – c’è un forte impatto dal punto di vista fisico dovuto al dolore molto intenso e alla compromissione dei movimenti” dei distretti interessati dalle lesioni, “ma anche dal punto di vista psicologico, con disturbi come l'ansia e la depressione, con tutto ciò che ne consegue”. (Video Pintori) L’idrosadenite suppurativa “oltre a compromettere la qualità della vita dei pazienti, ha un forte impatto anche sulla loro quotidianità relazionale e sociale. “Il 70% di noi – illustra Pintori – vede compromessa la sua carriera professionale. Ancora più grave è il fatto che bambini e adolescenti con questa malattia vedono compromessa la loro possibilità di frequentare la scuola o l’università, nel caso di ragazzi e i giovani: la patologia è infatti talmente dolorosa che comporta dei problemi a rimanere seduti, ma anche a stare in piedi o, a volte, sdraiati. Le ore di studio in classe per i ragazzi sono veramente molto pesanti e non va meglio nemmeno per i lavoratori”. Per rispondere ai “numerosissimi bisogni assistenziali – precisa la presidente di Patient People Aps – servono centri multidisciplinari strutturati, con strumenti innovativi sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico e organizzati in una rete con clinici e pazienti a lavorare insieme. Nello specifico, il dermatologo, con funzione di coordinatore”, dovrebbe “essere affiancato da altri specialisti formati: il chirurgo, il cardiologo, l’immunologo, lo psichiatre, talvolta l'andrologo e il ginecologo”. Ci sono poi da “fare percorsi istituzionali”, su cui si sta lavorando “per avere il riconoscimento della condizione di disabilità”. A livello di presa in carico, la presidente dell’Associazione segnalare che “la maggior parte dei pazienti va dal dermatologo privato a causa anche della lunghezza delle liste d'attesa. Noi vogliamo degli accessi più veloci – aggiunge Pintori -perché il quadro clinico cambia nel giro di sei, otto ore: diventa grave nel giro di pochissimo tempo”. Inoltre, se “serve un drenaggio” se questo viene “fatto al pronto soccorso, può essere eseguito anche senza anestesia”. Anche per questo “è necessario fare squadra tutti insieme: comunità scientifica, associazioni dei pazienti, istituzioni, media, ognuno con le proprie esperienze e competenze. Noi – rimarca la rappresentante dei pazienti – siamo disponibili a portare tutta la nostra esperienza, a raccontare tutto. Insieme ce la possiamo fare”, perché quando si è tutti insieme per lo stesso obiettivo “la vita della gente cambia e noi siamo qua, perché la sanità serva per la gente” specie quella più fragile, come le persone con questa patologia. Sulla malattia pesa anche un ritardo diagnostico dovuto a un complesso patient journey. “La diagnosi – evidenzia Valenti – è tardiva. Si attendono diversi anni”, in media 7,2 prima di dare un nome ai sintomi dell’idrosadenite suppurativa. È quindi “fondamentale investire sulla formazione anche di altri specialisti e dei medici di base per cercare di lavorare in maniera sinergica e ridurre così il tempo che è necessario per giungere a un centro di riferimento che dà accesso alle terapie adeguate”. Per le persone che soffrono di questa patologia, “fortunatamente”, oggi ci sono “diversi trattamenti approvati e anche in via di sviluppo: anticorpi monoclonali, ma anche small molecules – chiarisce lo specialista – Siamo quindi assolutamente pronti”, grazie “a tutti gli sviluppi della ricerca scientifica e farmaceutica, a dare delle risposte terapeutiche al paziente cercando di ‘tailorizzare’ l'approccio, cioè di individuare il trattamento più efficace, al momento più idoneo, per ogni singolo paziente, sperando di migliorarne, in definitiva, la qualità di vita”. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)