Una somma riparatoria che supera il danno subìto dall'Ato Ambiente Cl 1. Per l'esattezza 55mila euro che l'ex presidente della società d'ambito Giuseppe Cimino intende versare all'ente come risarcimento, per avere effettuato spese personali con la carta di credito intestata all'Ato. Shopping che gli è costato una condanna a 4 anni per peculato.
Èla proposta avanzata dall'avvocato Sergio Iacona, che insieme all'avvocato Salvatore Daniele difende Cimino, nel processo d'appello in cui il Pg Antonino Patti ha già chiesto di confermargli la pena irrogata dal Gup col rito abbreviato. In primo grado l'ex presidente venne pure condannato a pagare una provvisionale esecutiva da 20mila euro e un'altra da 25mila euro per il danno d'immagine subìto dalla società.
Èdi 41.412 euro la cifra che Giuseppe Cimino spese con la card della società tra il 15 novembre del 2006 e il 15 gennaio del 2011, almeno secondo gli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza e dalla Procura che hanno riscontrato numerose strisciate in profumerie, ristoranti e negozi di Caltanissetta, Milano e Palermo. L'ex presidente adesso ne vuole restituire poco più di 50mila. Proposta sulla quale l'Ato Ambiente – attraverso l'avvocato Dino Milazzo legale di parte civile – ha chiesto un termine per valutarla. Così la Corte d'Appello presieduta da Maria Giovanna Romeo ha posticipato l'udienza a metà gennaio.
Sono 55 i capi d'accusa che la Procura ha contestato a Cimino, attribuendogli acquisti e prelievi personali servendosi della carta di credito destinata soltanto per spese vincolate al suo ruolo. L'inchiesta è venuta a galla nel momento in cui all'Ato s'è insediato il liquidatore Elisa Ingala, che ha inoltrato un dettagliato rapporto alla magistratura sulle spese di Cimino, fra cui figurava un acquisto da 575 euro nel punto vendita “Louis Vuitton” della galleria “Vittorio Emanuele” di Milano. Spese che, secondo l'accusa, non potevano essere considerate di rappresentanza, anche se su quest'aspetto Cimino ha fornito dei chiarimenti durante un interrogatorio con i pubblici ministeri Alessandro Aghemo e Giovanni Di Leo che lo hanno inquisito.