Pubblicato il: 15/07/2024 alle 11:58
Oramai la “crisi idrica”, argomento di cui tutti parlano (e molti a sproposito), ha gettato le provincie
di Caltanissetta ed Agrigento in una condizione emergenziale che non ha eguali nel resto della Sicilia. La
mancanza d’acqua è diventata, gioco forza, il leitmotiv del nostro quotidiano aggiornamento
social/mediatico: razionalizzazione e razionamento dell’acqua, turnazione, bacini e invasi, piovosità,
investimenti programmati ed opere già finanziate da ultimare, tavoli tecnici, sono parole e concetti
ricorrenti con i quali appunto ci si confronta giornalmente. Ma il fatto, che si tenta di fare passare come
inoppugnabile ed inconfutabile, è che la crisi idrica è inesorabilmente causata dalla mancanza della pioggia
e dall’inarrestabile aumento delle temperature medie.
Se ciò in parte può essere oggettivamente vero, ad
esempio, il mese di giugno appena trascorso risulta essere il decimo mese consecutivo con temperatura
media superiore a quella specifica dello stesso mese negli ultimi 20 anni, e non ci sono dubbi che si è in
importante deficit di precipitazioni, intorno al 40% in meno delle medie misurate nello stesso periodo degli
anni precedenti, non è affatto ipotizzabile e realistico che per affrontare e risolvere gli atavici problemi
idrici della regione Sicilia si debba, ogni volta, ricorrere ad avanzate tecniche della “danza della pioggia”!
È pur vero, d’altronde, che l’anno 2023 è stato indiscutibilmente un anno siccitoso con un apporto
totale di 588 mm di piogge, ben al di sotto delle medie degli anni precedenti, mettendo a rischio la ricarica
di bacini ed acquiferi… ci vogliono ulteriori e sonanti campanelli di allarme per cominciare a pensare e
prevedere per tempo reali contromisure strutturali per affrontare quella che sarebbe potuta diventare,
come lo è, una situazione di emergenza e che comincia ad assumere connotazioni drammatiche?
La verità è che la diminuzione delle piogge non può essere l’alibi dietro il quale nascondere le reali
responsabilità gestionali e politiche che hanno causato la grave situazione di siccità. E queste responsabilità hanno un nome che risulta corrispondere a quello del Gestore di sovrambito SICILIACQUE S.p.A., ai ritardi o inefficienze che rasentano l’inadempienza contrattuale rispetto a quanto sottoscritto e programmato nella convenzione stipulata con la Regione nel lontano 2004.
Ed analoghe responsabilità devono essere ravvisate nella stessa Regione Sicilia che partecipante del 25% della società mista di cui sopra, ha il compito fondamentale di definire gli obbiettivi strutturali regionali da conseguire nei tempi opportuni e, non secondario, compiti di attività di controllo, verifica e vigilanza sull’operato di SICILIACQUE, tral’altro perpetuando quella fastidiosissima discrasia del tutto italiana di far coincidere il ruolo di controllore e controllato.
Attenzione non si faccia l’errore di pensare che si stia puntando il dito accusatorio esclusivamente
sull’attuale governo regionale, quello di Schifani è solo l’ultimo monotono capitolo di un libro vecchio e per
nulla originale. La tematica della gestione politica della risorsa idrica regionale, e del rapporto dei vari
governi a Palermo con SICILIACQUE, è uno di quegli argomenti che ha trovato negli anni tutti i nostri
rappresentanti politici perfettamente allineati in negativo e che ha accomunato nel tempo governi di
centrodestra, centrosinistra e centro-centro.
SICILIACQUE S.p.A., sotto il governo Cuffaro, ha sottoscritto una convenzione con la Regione Sicilia
nell’aprile 2004, sulla base di un offerta economica ed impegni vincolanti, i cui principi fissati prevedevano
a carico della società e di finanziamenti pubblici, in primis interventi e investimenti per migliorare la
condizione degli invasi, il rifacimento degli acquedotti, trattamenti di potabilizzazione, il completamento
dighe, tanto per citare alcune delle linee d’azione.
Ad oggi in periodo di estrema crisi, dopo venti anni di gestione, ci troviamo in una situazione nella
quale i principali invasi e bacini idrici, se non tutti, sono trascurati e fortemente bisognosi di interventi di
manutenzione, con perdite e trafilamenti delle dighe in terra e degli argini, con capacità di accumulo ridotta
a causa dell’interrimento. Conseguentemente necessitano di immediate azioni di sfangamento; in alcuni
casi è accaduto paradossalmente che, laddove si sarebbe potuto accumulare la preziosa risorsa idrica,
questa è stata sversata in mare per limiti di capacità.
Gli acquedotti che hanno età medie vicine al secolo, o anche superiori, continuano a subire
manutenzioni ed interventi ad hoc, forse a volerne allungare la vita utile. L’unica soluzione adottabile ed
indifferibile è quella che devono essere ricostruiti totalmente sia in materiali che in nuovi percorsi in
variante per evitare le zone geologicamente instabili e più critiche che ne compromettono l’integrità
strutturale.
Sempre gli acquedotti sono praticamente colabrodo, la dispersione idrica in Sicilia è elevatissima,
quotata al 52%, per ogni litro di acqua che parte dagli invasi, lungo il percorso se ne perde più della metà.
Ed ancora, parte consistente di queste perdite è causata dalla cosiddetta “dispersione effimera”, ossia
quella non indifferente quantità di acqua prelevata da allacci abusivi ed illegali alla rete acquedottistica,
reato che dovrebbe essere contrastato in maniera efficace dagli organi competenti, con in testa la Regione.
I dissalatori di Gela, Porto Empedocle, Trapani pur essendo oggettivamente strutture energivore e
costose nella gestione e manutenzione, sono state completamente abbandonate. In una situazione di
continua sete, come quella regionale, da queste strutture non era possibile affrancarsi. Risultato, adesso “in
crisi” ci si ricorda che forse esistono ancora.
Il completamento delle dighe, in una regione nella quale ci hanno sempre fatto intendere che piove
poco, (fino a due anni fa le medie di piovosità erano dell’ordine di 700 mm, ossia 700 l per mq di
superficie… se questo è poco???), sarebbe stato oltremodo opportuno completare dighe ed invasi e
prevedere la realizzazione di altri bacini, anche diffusi piccoli e disseminati sull’intero territorio regionale.
In ultimo, per dare un nome alle cose, per gli Accordi di Programma Quadro, alla base della stipula
della convenzione e da realizzare nei primi anni di gestione di SICILIACQUE, anche se ne sono passati “solo” venti dei quaranta in totale del contratto, si possono citare ad esempio alcune delle opere definite
strategiche, sino ad ora non realizzate o parzialmente avviate, e che avrebbero indubbiamente alleviato la
crisi idrica delle provincie del centro Sicilia, tra le quali Caltanissetta: il completamento della diga di Blufi (14 milioni di metri cubi l'anno), il rifacimento dell'acquedotto Favara di Burgio, il completamento dell'invaso Gibbesi (3 milioni di metri cubi l'anno), il risanamento della diga di Ancipa (24 milioni di metri cubi l'anno), ed ancora opere di intervento e lavori sugli acquedotti dell’Ancipa, di Blufi, del Fanaco-Madonie Ovest, del Madonie Est.
In un territorio come quello della provincia di Caltanissetta che non possiede un’autosufficienza
idrica perché soffre di una carenza di fonti di approvvigionamento d’acqua proprie e la cui principale
soluzione è quella dell’acquisto della “materia prima” acqua, per il 90-95% del fabbisogno da SICILIACQUE
(a costi elevatissimi sempre decisi dalla Regione!), è quindi possibile logicamente pensare che la mancata
realizzazione o manutenzione degli interventi prioritari indicati, ha comportato la non prevista produzione
di acqua che è oggi la causa della crisi idrica nella nostra provincia con le conseguenze che tutti noi stiamo
vivendo.
E adesso, come l’ennesima replica di un film già visto, in una situazione nella quale dobbiamo
sperare in piogge torrenziali risolutive (e non in danni collaterali), arrivano i finanziamenti statali in
emergenza, si corre ai ripari cercando di ultimare il salvabile, si approntano blasonati tavoli tecnici e piani
operativi risolutivi, in barba a qualsiasi tipo di logica programmazione, di utile prevenzione e di salutare
operatività. E quali saranno i risultati?
Non può che essere sempre ed indiscutibilmente la solita storia… una volta che i buoi sono
scappati, si chiude la stalla!
Giuseppe M. F. Firrone
Riferimento provinciale del
FORUM REGIONALE PER L’ACQUA E I BENI COMUNI
i dissalatori, solo quelli possono salvarci e in un paese normale, con teste pensanti normali, verrebbero alimentati con energia solare o eolica. Ma siamo in Sicilia e una volta realizzati gli impianti eolici o solari, siccome sole e vento sono gratis e nessuno ci potrà guadagnare, si opterà quindi per il buon vecchio e caro carburante, quello non è gratis e tanti ci guadagneranno.
Appunto! LA MANUTENZIONE DEI 2 DISSALATORI di Gela e Porto Empedocle ci sono costati 2.000.000 € ogni anno…..Per non avviarli al lavoro vuoi vedere che non hanno mai fatto manutenzione e i sordi si futtiru senza fari nenti ? La cosa non mi stranisce affatto ma voglio le teste di questi farabutti serviti su un piatto d’argento.