Pubblicato il: 26/07/2024 alle 10:52
(di Vincenzo Falci, Giornale di Sicilia) Dal buio pesto del carcere a vita, alla possibile innocenza in appello. Su cui, ora, ha scommesso anche la procura generale. Sì, perché al termine di una requisitoria fiume, andata avanti per quattro udienze, alla fine l’accusa ha chiesto l’assoluzione di cinque imputati, quattro dei quali condannati in primo grado all’ergastolo. E, punto su punto, scorrendoli come i grani del Rosario, ha smontato la precedente tesi accusatoria e sentenza con cui i presunti autori del delitto del riesino Salvatore Fiandaca, ucciso nel febbraio 2018, sono stati condannati al «fine pena mai». Mentre un quinto imputato ha rimediato 5 anni perché sospettato di aver procurato il fucile usato dai killer.
Ieri è stata chiesta l’assoluzione per non avere commesso il fatto o, in seconda analisi, perché non si è raggiunta la prova, per Pino Bartoli, 34 anni, Giuseppe Antonio Santino di 23, Michael Stephen Castorina di 32 Gaetano Di Martino di 38 (assistiti dagli avvocati Giovanni Maggio, Vincenzo Vitello, Michele Ambra, Adriana Vella e Angelo Asaro) già condannati all’ergastolo per omicidio aggravato dalla premeditazione e porto di armi.
Riforma della sentenza, con un verdetto di non colpevolezza, è stato proposto anche per Loris Cristian Leonardi, 32 anni, (assistito dagli avvocati Carmelo Terranova e Giada Faraci ) accusato di porto d’arma e ricettazione di fucile, contestazioni che nel primo passaggio in aula gli sono costati 5 anni di carcere. Assoluzione, per tutti, per non avere commesso il fatto o, in seconda analisi, perché non si è raggiunta la prova.
I familiari della vittima (assistiti dagli avvocati Walter Tesauro e Giovanni Pace) sono parti civili.
E le ragioni per cui il precedente teorema accusatorio non reggerebbe, i sostituti pg Antonino Patti e Gaetano Bono, le hanno sviscerate tirando fuori decine di particolari e sconfessando più capi saldi del primo processo e che proprio non reggerebbero.
A cominciare dal rebus che ruota attorno a una cicca di sigaretta. Quella che sarebbe stata trovata sul luogo del delitto e che è stata ricondotta a uno dei quattro imputati, a Santino in particolare. Ma quel mozzicone, ed è stata anche la stessa procura generale a sollevare la questione , è schiacciato e deformato come se fosse stato spento in un posacenere e non gettato sul terreno, che peraltro quella mattina era bagnato dalla pioggia.
E poi il teste chiave, un trentenne le cui intercettazioni – seppur non sia mai stato sentito in aula nel processo di primo grado – sono state incisive per le condanne in primo grado. Ma del delitto Fiandaca, e non soltanto, secondo lo stesso teste, prima ne avrebbero parlato fuori dall’auto e poi dentro, dov’erano piazzate le microspie. Sì, perché quei colloqui sono stati “catturati” sull’auto del neo vice coordinatore vicario regionale di «Rete per la legalità – Sicilia». E anche le modalità di montaggio di quelle «cimici» sono state al centro di non poche perplessità sollevate dall’accusa.