Pubblicato il: 31/08/2024 alle 13:53
Troppe zone d’ombra. Tante e dubbie presunte dichiarazioni ad hoc di pentiti. Di uno, in particolare, che con le sue rivelazioni lo ha inchiodato, il riesino Carmelo Arlotta. Altri no, a cominciare dal fratello, Angelo Arlotta, pure lui pentito. Piuttosto, in un contesto più ampio, per un’indagine su mafia e omicidi, altri collaboranti avrebbero tirato via le castagne dal fuoco per lui. Tutti riesini come lo è il personaggio chiave di questa vicenda dai troppi contorni apparentemente foschi, il quarantanovenne Salvatore Tambè (assistito dall’avvocato Mirko La Martina), rinchiuso in una casa circondariale del Catanzarese.
Sul suo capo attualmente pende una condanna, non definitiva, a 22 anni di carcere per il delitto dell’albanese Astrit Lamaj i cui resti, sei anni dopo la sua uccisione, sono stati trovati nel gennaio 2019 in un pozzo artesiano di una villetta di Senago, nel Milanese. In primo grado l’Assise di Monza gli ha inflitto 24 anni poi, in appello, ridotti di un paio di anni.
È un diritto di difesa negato nella sua pienezza, quello lamentato da Tambè che, peraltro, al termine del processo di primo grado ha pure presentato una denuncia a carico di un pm della procura di Monza, titolare del fascicolo e del processo sul delitto. «Ma è stata archiviata dopo appena dieci giorni», ha spiegato També scrivendo dal carcere.
Lui, secondo l’accusa, sarebbe stato tra coloro che avrebbero immobilizzato l’albanese mentre lo strangolavano – è la tesi dei pm – all’interno di un garage di Muggiò, appartenente al figlio di un capomafia riesino del clan Cammarata, però uscito da questa inchiesta perché la sua posizione è stata archiviata. E poi, sempre per gli inquirenti, si sarebbe occupato di disfarsi dell’auto, una Volkswagen Golf, dello stesso albanese.
Di contro la difesa ha messo in discussione l’intero impianto accusatorio puntato l’indice contro la versione dei fatti fornita dal collaborante Carmelo Arlotta, che ha additato lo stesso Tambè … «cambiando importanti dichiarazioni», è lo sfogo dal carcere dell’accusato.
È lui, il pentito, il suo grande accusatore. Ma intercettazioni sembrerebbero raccontare che lo stesso Arlotta avesse il dente avvelenato con Tambè. Come quella del 13 giugno 2015 in cui lo stesso pentito parlando con la riesina Carmelina Sciacchitano, che ha già patteggiato 16 anni come mandante dell’agguato a Lamaj, avrebbe asserito «li devo eliminare tutti ad uno ad uno… questo qua – e il riferimento sarebbe a Tambè – è un pezzo di mer… questo, il cognato di mio fratello, è un pezzo di mer…un traditore che tu non hai idea». O, altra intercettazione, nel marzo 2019, quando a discutere sono Angelo Arlotta e la compagna del fratello Carmelo. E la donna, rispondendo al cognato ha spiegato «ci sono intercettazioni in carcere che lui (il marito Carmelo) dice che adesso la fa pagare pure a Salvatore, che non c’entra niente, la fa pagare a Lillo anche, che non c’entra niente, la fa pagare pure a te anche che non c’entri niente».
Tambè, ora ha gridato a gran voce «non hanno dato il consenso ai verbali precedenti d’interrogatorio di Carmelo Arlotta, così come le intercettazioni… nulla delle sue dichiarazioni rese prima del processo… e diceva che mi doveva ammazzare e me la doveva fare pagare». E tra il prima e il post processo a Tambè le versioni del pentito, su presunti fatti e coinvolgimenti, sarebbero mutate, per la difesa, ad arte.