Pubblicato il: 30/09/2024 alle 08:10
Quell’uomo dai begli occhi e l’accento italiano le aveva fatto sognare un matrimonio da favola. Un matrimonio che però nel giro di pochi mesi si è trasformato in un incubo. Un incubo durato poi per anni. La storia di Paula è quella di tante donne che sognano l’amore, una famiglia, stabilità, e che invece si ritrovano a fare i conti con l’idea del possesso, le botte, la prevaricazione. Donne che si ritrovano ad essere semplicemente un oggetto e non persone amate e degne di stima. Per fortuna per alcune di loro però c’è il momento del riscatto e Paula oggi è riuscita a cambiare vita, grazie alla sua forza e grazie alla cooperativa Etnos che l’ha aiutata ad entrare nel mondo del lavoro, non dovendo più sottostare a continue minacce e dipendere economicamente. Tutto era cominciato ad Haiti, dove Paula viveva e lavorava. Paula aveva una famiglia e un bel lavoro. Era una ragazza poco più che ventenne quando ha incontrato quello che in breve tempo sarebbe diventato suo marito. “Mi hanno colpito i suoi occhi, la sua bontà, la sua gentilezza. Per me era l’uomo dei miei sogni”. Così è cominciata la storia d’amore tra Paula e l’uomo che un giorno sarebbe diventato il suo aguzzino. “Ci siamo frequentati per qualche mese, un periodo in cui lui si mostrava premuroso e gentile. E così quando mi ha chiesto di sposarlo non stavo nella pelle. Ho lasciato la mia famiglia e il mio lavoro per trasferirmi in Italia con lui. Ma non sapevo ancora cosa mi aspettava. Di lì a poco infatti sono nati i miei figli e io, una volta arrivata nel suo paese d’origine, non ero più la donna che aveva corteggiato e fatto sentire una regina ma una persona che non contava più nulla, e che doveva occuparsi solo della casa e di crescere i bambini. Lui a quel punto cominciò con i tradimenti”. Paula quando è arrivata non conosceva la lingua italiana. Ha raccontato di sentirsi isolata. Avrebbe voluto farsi delle amiche ma c’era l’ostacolo della lingua e, soprattutto, il marito preferiva tenerla lontano da tutto e da tutti affinché nessuno potesse raccontarle cosa faceva o solidarizzare con lei. “Cominciai a lavorare nella sua impresa – racconta Paula – ed è lì che mi accorsi che si appartava con un’altra ragazza. Sotto i miei occhi. Ad un certo punto li vidi anche baciarsi. Ma quando mi arrabbiai e glielo dissi mi disse che ero una pazza, che stavo farneticando. E da lì cominciarono le botte. I tradimenti erano continui. Con questa o con altre ragazze. Ragazze con cui lui addirittura si fidanzava, illudendole, incurante che in casa ci fosse sua moglie ad aspettarlo con i bambini. Il risultato era sempre lo stesso se chiedevo rispetto e mi arrabbiavo lui mi accusava di essere una pazza, gelosa, possessiva e finivo per essere picchiata”. Ma le umiliazioni per Paula non erano finite qui. “Mi prendeva per scema davanti i suoi dipendenti, dicendomi che non sapevo fare nulla e non ero buona a nulla. In realtà cercavo di ingegnarmi e cominciai a fare cose che non avevo mai fatto. Ma lui mi screditava, sia che fossimo soli sia in presenza di altri. Non andava meglio quando andavamo a trovare i miei parenti. Anche in loro presenza lui mi trattava male e loro mi dissero chiaramente che era una persona cattiva e non volevano più avere a che fare con lui”. Il dramma di Paula è quello di tante altre donne che oltre una dipendenza affettiva sperimentano anche quella economica. “Nonostante mi trattasse in questo modo ero ancora innamorata di lui e in più dipendevo da lui economicamente. Dove potevo lavorare? E d’altronde per lui era fuori discussione che io cercassi un lavoro. In più ogni volta la minaccia era la stessa: quella di levarmi i miei figli e che tanto ero straniera e tutti avrebbero dato ragione a lui che era un uomo, a suo dire, potente e temuto”. Ma i problemi per Paula erano solo all’inizio. “Arrivò a farmi firmare cose di cui non capivo il contenuto e mi ha messo anche in guai economici, per riparare a tutto quello che lui stava combinando con le sue imprese. E solo dopo capii quanto era grave quello che avevo fatto”. Poi però il marito di Paula cominciò a trattare male anche i figli. “Se i bambini erano in un’altra stanza li chiamava per prendere qualcosa che era accanto a lui. Per umiliarli e trattarli come degli schiavi. Aveva un suo preferito e lo faceva notare agli altri che continuava a maltrattare. Sperando così di avere almeno uno dei bambini dalla sua parte. Ma il bimbo non accettava che i suoi fratelli venissero trattati peggio di lui. Un giorno finalmente presi il coraggio a quattro mani e approfittando del fatto che lui sarebbe andato via per diverse ore sono riuscita a raggiungere un avvocato che avevo conosciuto tempo addietro e che aveva capito il mio dramma. Un professionista meraviglioso che ancora oggi mi sta aiutando e che capì subito quali cattiverie sono stata costretta a subire”. Nel frattempo lui disse che io volevo togliergli i bambini, ma non era vero. E un giorno arrivò a chiamare i carabinieri accusandomi davanti a loro di cose che non avevo mai fatto. Fino a quel momento non mi ero mai rivolta alle forze dell’ordine perché pensavo che non ne sarebbe venuto niente di buono. D’altronde lui mi aveva sempre detto che, pure se gli avessi chiamati, sarebbero stati dalla sua parte. E invece i carabinieri che intervennero capirono tutto al volo. Insieme al mio avvocato sono stati veri e propri angeli. Vedevano come continuava a comportarsi lui, arrogante e irriverente anche nei loro confronti. E vedevano il mio sguardo triste e rassegnato. Sentirono i bambini che raccontarono tutto quello che aveva fatto e detto il loro papà. A quel punto non c’era più dubbio. Mi fu assegnato il codice rosso e fui affidata alla cooperativa Etnos di Caltanissetta. Ed è stato in quel momento che ho scoperto gli altri angeli della mia vita. La prima notte in cui arrivai da loro insieme ai bambini ero in lacrime. Mi consolarono, mi fecero sfogare. Loro sono dei professionisti e avevano già vissuto queste esperienze con altre donne. Sapevano che sarei riuscita ad entrare in un percorso di rinascita. Videro la mia resilienza e piano piano li ho sentiti come una famiglia. Hanno visto che avevo voglia di fare e mi hanno inserito in un percorso lavorativo che mi ha ridato fiducia, autostima e indipendenza. Oggi ho un lavoro tutto mio. Le ferite ovviamente rimangono – dice Paula che in certi punti del racconto non è riuscita a trattenere le lacrime – ma vado avanti. Perché ci sono i miei figli e perché se da un lato l’arrivo in Italia per colpa di mio marito è stato un incubo dall’altro lato ho visto che ci sono persone meravigliose. Veri e propri angeli che si occupano di te e non ti fanno sentire sola”.