Pubblicato il: 08/10/2024 alle 16:04
Condannato per sequestro di persona mirato a una estorsione ma assolto, di contro, con altri due coimputati per una rapina. Così s’è chiuso in Assise il processo con rito abbreviato che rappresenta una costola dell’inchiesta «madre» che s’è incentrata sul delitto del giovane pakistano Adnad Siddique – ucciso per essersi schierato al fianco di suoi connazionali che volevano ribellarsi alla mafia dei campi – e per caporalato.
Giudicato colpevole, con una pena a 11 anni di reclusione, il ventiquattrenne pakistano Muhammad Sharjeel “Shery” Awan che avrebbe fatto parte della banda di quattro sequestratori per obbligare i familiari di un connazionale a sborsare 3 mila euro. Il suo nome sarebbe saltato fuori in un secondo momento, durante il processo principale, e la procura a dibattimento in corso gli ha contestato questa nuova imputazione che, adesso, gli è costata la condanna. E dovrà pure risarcire la parte civile. L’ammontare verrà poi stabilito in un procedimento dedicato.
Ma lo stesso Awan (avvocato Giuseppe Dacquì), di contro, è stato assolto per una rapina aggravata. E con lui sono stati riconosciuti estranei, perché «il fatto non sussiste», anche il quarantenne Arshad Muhammad e il trentaduenne Muhammad Shoaib (assistiti, rispettivamente dagli avvocati Salvatore Virciglio e Salvatore Baglio).
Il primo dei due episodi al centro di questa nuova parentesi processuale celebrata in abbreviato, risale al 31 maggio di quattro anni fa. Quel giorno in quattro – gli altri tre sono stati condannati nel troncone principale –
sotto la minaccia di un coltello avrebbero sequestrato un connazionale rinchiudendolo nell’abitazione di una donna. Poi lo avrebbe picchiato per convincerlo a chiamare il fratello, in Patria, per chiedere un riscatto di tremila euro per il rilascio.
L’altro capo d’imputazione , la rapina, avrebbe avuto per obiettivo un giovane di nazionalità pakistana, che sarebbe stato picchiato per prendergli soldi. Lo avrebbero preso a pugni fino a costringerlo a consegnare loro i quattrini che aveva in tasca. L’azione sarebbe stata messa a segno a Sommatino nel marzo del 2020. Ma i tre imputati, come ha ritenuto adesso la corte d’Assise presieduta da Simone Petralia (a latere Sofia Milone) non avrebbero avuto nulla a che vedere con questo violento assalto.