Sono oltre un milione (un quinto degli attivi) gli imprenditori vittime di un qualche reato (racket, truffe, furti, rapine, contraffazioni, abusivismo, appalti, scommesse, pirateria) che fa muovere un fatturato che si aggira intorno ai 170-180 miliardi di euro, con un utile che supera i 100 miliardi al netto degli investimenti e degli accantonamenti.
La “Mafia spa”, una vera e propria holding company, è la più grande azienda italiana, la prima banca d'Italia. Condiziona il mercato, fa i suoi prezzi e butta fuori i concorrenti. Ha una liquidità di 65 miliardi di euro, che in gran parte viene investita in economia legale. Solo il ramo commerciale della criminalità organizzata rappresenta quasi il 10% del Pil nazionale, superiore a quello di Estonia, Slovenia, Croazia, Romania.
I ricavi di cui dispone vanno ad alimentare un mercato parallelo a quello legale, addirittura maggiore di quello che tiene in piedi il nostro paese. Questi alcuni dei numeri contenuti nella seconda edizione del libro “I costi dell'illegalità e la lotta alla criminalità organizzata”, pubblicato da Unimpresa, che sarà presentato giovedì 6 marzo a Roma in occasione del convegno “Legalità dove sei?”.
Le vittime dirette della criminalità organizzata, secondo quanto emerge dal volume, sono in primis le imprese che si ispirano alla legalità e alla correttezza verso i consumatori, i dipendenti, i risparmiatori: le imprese che, in silenzio, si confanno ai canoni fondamentali dell'etica sociale di impresa: “Non esiste un'economia buona e una cattiva, ma al contrario spesso si riscontra un'economia che utilizza la criminalità organizzata e, contestualmente, i cartelli criminali che utilizzano l'economia, il tutto secondo un processo osmotico se non sinallagmatico tra Mafie, politica ed economia”.
Accanto a imprenditori vittime della criminalità, vi è una parte consistente dell'imprenditoria che sfrutta a proprio vantaggio i canali illegali, utilizzando le Mafie come veri e propri organizzatori e fornitori di servizi. Inefficienze amministrative, eccessive farraginosità delle leggi, esorbitanze normative e r egolamentari, decisioni amministrative arbitrarie e discriminatorie, incertezze e lungaggini della giustizia, politiche di razionamento improprio del credito, una governance finanziaria lacunosa, sono esempi di questo tipo.
“In certi contesti – spiega Luigi Scipione, autore del libro, professore universitario e membro del comitato di presidenza di Unimpresa – quelli caratterizzati da una sedimentata arretratezza economica e sociale, la criminalità organizzata ha assunto un ruolo di mediazione sociale, di mediazione economica, un ruolo di interfaccia con la politica e le istituzioni. In alcune aree del Meridione la criminalità si è addirittura sostituita ai meccanismi del welfare statale per creare un vero e proprio welfare mafioso”.
Secondo Scipione “l'illegalità e la mancanza di regole feriscono a morte l'economia sana, impediscono lo sviluppo nelle regioni povere, scoraggiano gli investimenti. Appare chiara la presa di posizione nonchè la consapevolezza che i condizionamenti della criminalità organizzata nell'economia rappresentano un grande freno allo sviluppo del Paese e un grande pericolo per le imprese sane: non si possono fare analisi serie sul futuro della nostra economia prescindendo dai dati sull'economia illegale e criminale”.