Pubblicato il: 13/03/2014 alle 17:19
I giornalisti, se commettono diffamazione, non devono essere condannati al carcere, se non in presenza di “circostanze eccezionali”, altrimenti non viene loro assicurato il ruolo di “cane da guardia”. Lo sottolinea la Cassazione ricordando che questo orientamento è stato espresso dalla Corte dei Diritti Umani. I giornalisti in quanto categoria – sottolinea la Suprema Corte – sono “attualmente oggetto di gravi ed ingiustificati attacchi da parte anche di movimenti politici proprio al fine di limitare la loro insostituibile funzione informativa”.
Ridimensionare il reato: infliggere solo multe
La Cassazione esorta a non infliggere il carcere nel caso di condanne per diffamazione ma solo multe. La Suprema Corte, inoltre, ricorda che “de iure condendo (vale a dire in merito al diritto che deve essere formulato) anche il legislatore ordinario italiano è orientato al ridimensionamento del profilo punitivo del reato di diffamazione a mezzo stampa”.
Il caso alla base della sentenza della Cassazione
Con la sentenza 12203 della V Sezione penale la Suprema Corte ha detto no alla condanna al carcere, seppure con pena sospesa, nei confronti di un giornalista e del direttore del quotidiano La Voce di Romagna per un articolo che riportava informazioni imprecise di cronaca giudiziaria su un furto in una caserma.
La Convenzione europea sulla libertà di espressione
La Suprema Corte ricorda che i giudici dei Diritti Umani, in base alla Convenzione sulla libertà di espressione, esigono “la ricorrenza di circostanze eccezionali per l'irrogazione, in caso di diffamazione”, della condanna al carcere “sia pure condizionalmente sospesa”. Con questo verdetto la Cassazione ha annullato con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, solo per il trattamento sanzionatorio, la condanna al carcere (la cui entità non è specificata) nei confronti del direttore e del giornalista de La Voce di Romagna.