La procura della Repubblica del tribunale di Gela ha emesso avviso di conclusione indagine per cinque dirigenti e tre tecnici della raffineria dell'Eni, con la contestazione di disastro colposo innominato causato dallo scarico di 13,5 tonnellate di greggio che, il 4 giugno del 2013, ha inquinato il tratto terminale del fiume Gela, un ampio specchio di mare antistante la foce e le spiagge a ridosso dell'area interessata. Per alcune settimane, centinaia di uomini e mezzi, in mare e a terra, lavorarono per eliminare le tracce bituminose inquinanti che minacciavano la stagione balneare. Oggi, sono state rese note le cause del vasto inquinamento ambientale che, secondo l'inchiesta deriverebbero “da negligenze nella gestione degli impianti e da carenze strutturali degli impianti stessi”.
Si è potuto accertare che “il giorno dell'incidente – scrive in una propria nota il procuratore di Gela, Lucia Lotti – si sia verificata una catena di errori gestionali e operativi e di difetti di coordinamento tra l'impianto Topping 1 e il Parco Generale Serbatoi da cui proveniva il greggio da trattare” che sarebbe risultato con “un abnorme contenuto di acqua”. Al variare improvviso dei parametri di distillazione sarebbero stati commessi degli errori di manovra che, in mancanza di apparecchiature di monitoraggio e di allarme (come gli esplosimetri) nei pozzetti di raccolta e sommati a interventi tecnicamente inutili, hanno consentito lo scarico continuo di acqua e petrolio nel fiume per quasi un'ora e mezza. Dopo l'incidente, gli strumenti mancanti sono stati installati. La magistratura inquirente accusa gli indagati di avere messo “in serio pericolo, l'incolumità di un numero indeterminato di persone ed in particolare l'integrità della salute degli abitanti del territorio gelese, già classificato “area ad elevato rischio di crisi ambientale”. Alla Raffineria di Gela vengono “contestate inoltre le ipotesi contravvenzionali di inquinamento e di scarico non autorizzato di reflui industriali, nonché l'illecito amministrativo”.