Pubblicato il: 07/05/2014 alle 17:12
Michele Abbate
Cosa ci è rimasto di Michele Abbate? Quale eredità, umana e politica, ha lasciato quel sindaco in jeans amato dai nisseni, apprezzato anche da chi – per ragioni politiche – non aveva votato per lui? Quindici anni fa una città intera è morta insieme al suo sindaco, stroncando troppo presto una stagione amministrativa e politica appena sbocciata. Una coltellata che uccise la speranza dei nisseni, la voglia di riscatto dagli anni bui di allora che sembrano non essere mai finiti. Oggi – nel 15° anniversario da quel delitto che ha imbrattato di sangue la memoria di Caltanissetta – SEGUONEWS ha voluto lasciare una traccia nel ricordo di Michele Abbate.
Fiorella FalciE lo ha fatto chiedendo e ospitando un autorevolissimo intervento della professoressa Fiorella Falci, autentica pasionaria della Sinistra nissena e compagna politica di Abbate in quegli anni difficili. Una testimonianza profonda, genuina e diretta di cui siamo grati a Fiorella Falci per averci offerto questo fedelissimo resoconto a metà tra storia dei nostri giorni e un nostalgico racconto d'avventura politica in cui emerge  la figura dell'Abbate uomo e del Michele amministratore innovativo, che guardava avanti con la semplicità che lo contraddistingueva e che oggi maledettamente rimpiangiamo.
Quindici anni fa una coltellata squarciava il cuore del Sindaco di Caltanissetta: Michele Abbate. Un atto di violenza estrema, feroce, contro un uomo che della non-violenza poteva essere considerato un simbolo; non solo per il tratto umano, aperto e disponibile al dialogo con tutti, ma anche per la capacità di sostenere con convinzione le proprie idee, sapendo ascoltare quelle altrui con attenzione e rispetto, senza forzature e senza ipocrisie.
Quando era stato eletto Sindaco, nel dicembre 1997, a Caltanissetta sembrava essere crollato finalmente un muro, più antico e fortificato di quello di Berlino: la roccaforte del moderatismo democristiano sceglieva il Sindaco di una coalizione di centro-sinistra.
Dopo quattro anni di amministrazione guidata dall’avv. Mancuso, leader storico della destra estrema cittadina, il campione democristiano che si era riproposto per “riprendersi” la città, l’avv. Rudy Maira, più volte sindaco e plurideputato, veniva sonoramente sconfitto da Michele Abbate, che aveva presieduto il Consiglio Comunale per 4 anni, espressione del “Patto per la Città”, prima sperimentazione di laboratorio politico tra partiti organizzati e aggregazioni civiche, archetipo di quello che sarebbe diventato il nuovo centro-sinistra del terzo millennio.
E questa era stata la forza del progetto di Michele Abbate: mettere insieme esperienze diverse, storie e culture che venivano da lontano, con il desiderio dei nisseni di voltare finalmente pagina rispetto alla vecchia politica, estenuata dall’ondata di Tangentopoli (a Caltanissetta “Operazione Leopardo”) e dall’esaurimento dei partiti di potere della prima Repubblica.
Il Consiglio Comunale si era auto-sciolto nel 1993, per dimissioni di tutti i componenti, e la città si era ritrovata disorientata e senza punti di riferimento, decapitata nella sua classe dirigente travolta dagli arresti e dalle inchieste giudiziarie. Una classe dirigente alla quale per decenni la città si era affidata a corpo morto, con percentuali bulgare ai partiti di governo, senza trovare mai il coraggio di una svolta, consumando le briciole del benessere dell’antico ruolo di capoluogo nella speculazione edilizia e negli affari dei comitati che gestivano “politicamente” la spesa pubblica.
Quel medico sorridente, competente e senza spocchia, che per il suo lavoro conosceva profondamente la città e le sue realtà più disagiate, dimenticate, aveva ispirato fiducia ai nisseni, delusi da un centro-destra che non riusciva ad esprimere un progetto unitario di governo e di prospettiva per la città, e si era presentato diviso alle elezioni sperando di poter contare su antichi rapporti di potere e costruire nuove fedeltà clientelari.
I mesi entusiasmanti e difficili di Michele Abbate Sindaco, stavano cominciando a disincrostare la rassegnazione, l’apatia, l’indifferenza dei nisseni nei confronti dell’amministrazione della loro città, con alcune operazioni importanti, strutturali, qualificanti per un progetto di futuro: il contratto di quartiere per riqualificare S. Barbara con un intervento-pilota capace di convogliare finanziamenti pubblici su una progettualità urbanistica finalmente di sistema, la “Grande Piazza” come fulcro della riqualificazione del centro storico monumentale in un’ottica di rilancio produttivo del suo essere, come diceva Michele, “centro commerciale naturale” e sede accogliente dell’Università, la ristrutturazione del vecchio Macello per farne un centro culturale polivalente a disposizione dei giovani nisseni e dei loro talenti, il lancio in grande stile del Teatro Margherita con la consulenza artistica di Pamela Villoresi e cartelloni di spettacoli finalmente di livello nazionale.
Caltanissetta cominciava a pensare in grande con Michele Abbate, senza presunzione né provincialismo ma con il coraggio della progettualità. E puntando ad aprire con le istituzioni di governo, regionale e nazionale, contrattazioni, vertenze, interlocuzioni stringenti per inserire la città nei grandi filoni della progettualità della spesa pubblica senza “subire” dall’alto, ma sapendo indicare dal basso le priorità.
Questo anche il senso della scelta politica di Michele Abbate di aderire nel 1998 ai Democratici di Sinistra di Walter Veltroni, riconoscendosi in un orizzonte politico, senza perdere per questo capacità di dialogo e di “rappresentanza civile” a 360°.
L’anomalia di una classe dirigente che cominciava a crescere in autonomia, senza avere bisogno di demonizzare la politica ed i partiti per legittimarsi ed esprimere degnamente rappresentanza istituzionale, aveva trovato in Michele Abbate un archetipo efficace, in cui le persone si riconoscevano, di cui sapevano di potersi fidare, sicuri di trovarsi di fronte ad un uomo limpido, profondamente onesto e intelligente nello stesso tempo; (queste due ultime qualità non sempre erano state coniugate insieme dai politici della tradizione locale, e non solo).
Per questo la fine violenta di quella esperienza, così “anomala” in una città come Caltanissetta, ha lasciato tanto dolore ma anche tanta inquietudine e tante domande che non hanno avuto ancora oggi risposta. Nessuno allora, della parte politica di Michele (io ero allora segretario provinciale dei Democratici di Sinistra e discutemmo in una lunga riunione con Veltroni e Claudio Fava di quanto era accaduto), nessuno sbandierò “teoremi” accusatori a possibili mandanti e motivazioni. Anche quando dalla parte opposta, e perfino in Consiglio Comunale, qualcuno aveva osato sollevare il polverone dell’infamia, delle illazioni, per sminuire, “ridimensionare”, la portata di quanto era accaduto.
Oggi, il dovere della memoria, (che è responsabilità di chi ha vissuto quella storia nei confronti delle giovani generazioni), ci chiede di continuare a pensare, a costruire continuità con il meglio che quella esperienza ha significato, a fare vivere nella nostra società rapporti autentici e dialoghi significativi come sapeva fare, sorridendo, Michele Abbate, capace prima di tutto di autoironia e della “leggerezza” di uno spirito libero che non ritiene di essere il centro dell’universo, come tanti “autoreferenziali” dei nostri giorni.
Quella leggerezza con cui spero la terra si poserà su di lui a custodirlo per sempre.