Pubblicato il: 10/02/2025 alle 18:41
Ergastolo, ora come allora, per il boss della Stidda di Mazzarino e la moglie per due lupare bianche. Mentre per un altro imputato è caduta ogni contestazione ed è tornato subito in libertà. Per il resto parziali assoluzioni e qualche sconto di pena. Nel concreto, dodici condanne e sette assoluzioni, passando per cinque rinunce dell’appello da parte della procura nei confronti di altrettanti imputati usciti “indenni” dal primo passaggio in aula. Così nel processo d’appello, legato alla maxi inchiesta «Chimera» dei carabinieri su omicidi, mafia, estorsione, droga e armi a Mazzarino.
«Fine pena mai», esattamente come al termine del primo grado del giudizio per il sessantunenne capomafia della Stidda mazzarinese, Salvatore Sanfilippo e la moglie, la cinquantottenne Beatrice Medicea per due lupare bianche. La prima risale al giugno del 1984 con la scomparsa di Benedetto Bonaffini, l’altra all’agosto del ’91 quando si sono perse le tracce di Luigi La Bella. Solo per la donna del capomafia è stata esclusa l’aggravante della premeditazione in relazione all’uccisione di La Bella, prima picchiato e mutilato per estorcergli informazioni. Era l’agosto del 1991.
Per il resto, sconto di pena per Silvia Catania, scesa adesso a 10 anni e 4 mesi, pena ridotta a Marco Gesualdo, ora a 10 anni e 6 mesi per l’esclusione dell’aggravante dell’azione armata e la riqualificazione di uno dei capi d’imputazione legata a spaccio di droga; per Emanuele Brancato 10 anni di reclusione a fronte dei sedici anni in primo grado, riduzione anche per il nipote del boss, Paolo «Siviglia» Sanfilippo 16 anni, 2 mesi e 20 giorni contro i diciassette anni e quattro mesi precedenti; netto colpo di forbice sulla pena anche per Girolamo «Mimmo» Bonanno che adesso si è visto comminare 2 anni e 4 mila euro di multa, con pena sospesa e scarcerazione per questa vicenda, contro i dieci anni e otto mesi in primo grado; riduzione anche per Salvatore Di Mattia, Paolo Di Mattia e Melina Paternò ora condannati a 2 anni e 8 mesi ciascuno, altra diminuzione per Gianfilippo Fontana, cognato del capomafia, con 12 anni di carcere a fronte dei precedenti quindici anni e mezzo e, sono 6 i mesi di reclusione e 2 mila euro di multa per Salvatore Strazzanti «U torinese».
Assolto, invece, perché «il fatto non sussiste» per riciclaggio e associazione mafiosa, Salvatore Giarratana, così come è stato dichiarato il non doversi procedere per remissione di querela per estorsione e per difetto di querela per altri due episodi simili anche nei confronti di Giuseppe Morgana (avvocati Vincenzo Vitello e Adriana Vella) tornato in libertà.
Dichiarato inammissibile l’appello, perché il pm ha rinunciato, nei confronti di Massimiliano Cammarata, Luca Guerra, Grazia Minischetti, Valentina Guerra e la figlia del boss, Maria Sanfilippo. Questo il verdetto emesso dalla corte d’Assise d’Appello presieduta da Gabriela Natale (consigliere Valentina Balbo) in parziale riforma del verdetto emesso, con il rito abbreviato, il 18 luglio di due anni fa dal gup Grazia Luparello.
A parte il boss e la moglie – assistiti dagli avvocati Agata Maira e Flavio Sinatra – accusati di omicidio il resto degli imputati – assistiti dagli avvocati Carmelo Terranova, Giada Faraci, Martina Petrantoni, Giampiero Russo, Giacomo Ventura, Agata Maira, Flavio Sinatra, Attilio Villa, Giuseppe Piazza, Gaetano Giunta, Sergio Anzaldi, Gaetano Lisi, Raffaele Minieri ed Elisa Gatto – erano accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsioni, armi e droga. Nei loro confronti il ministero dell’Interno e Giuseppe Campisi (assistiti, rispettivamente, dagli avvocati Giuseppe Laspina e Giuseppe Panepinto) sono parti civili.