Pubblicato il: 10/07/2014 alle 15:07
La mattina di lunedì 9 gennaio 2012 pioveva su Riesi, in provincia di Caltanissetta, ma nello spiazzo della «Tecnoambiente», una ditta di smaltimento rifiuti, c’era una macchina che bruciava: un’alta colonna di fiamme e fumo. In quella auto c’era il corpo di Piero Di Francesco, 30 anni, titolare dell’azienda di famiglia. A scoprirlo e dare l’allarme era stato il padre, Stefano. Adesso, a due anni e mezzo di distanza, proprio il 64enne è stato arrestato con l’accusa di avere assassinato il figlio. La svolta è arrivata grazie a una microspia piazzata dai carabinieri sulla tomba del giovane. Davanti alla lapide infatti l’uomo, «parlando» con il figlio, ha pronunciato questa frase: «Cricchietto, ah, tuo padre che ti fece?». Per gli inquirenti è una confessione.
Fin dall’inizio c’era più di un particolare che non quadrava con l’ipotesi del suicidio, suggerita immediatamente dal padre della vittima. Per esempio il fatto che il corpo di Piero fosse sul sedile posteriore dell’auto; il fatto che vicino alla macchina – non quella usata di solito dal 32enne, ma una vecchia Mercedes abbandonata da tempo ad arrugginire nel cortile – ci fosse una tanica di benzina mezza vuota e con il tappo perfettamente avvitato. In più, dalle testimonianze raccolte, la vita di Piero, padre di due bambini, appariva «normalissima». Nessun motivo per togliersi la vita, insomma. Anche i risultati dell’autopsia avevano portato le indagini subito su un altro piano: Piero è stato prima colpito alla testa con un bastone o una vanga, poi dato alle fiamme mentre era ancora vivo: nei suoi polmoni c’erano tracce di idrocarburi, quindi respirava ancora quando il fuoco lo ha avvolto.
In realtà c’era un ambito della vita della vittima in cui si annidavano tensioni e rancori: era proprio il rapporto con il padre. L’uomo un tempo era il titolare della ditta ma poi, dichiarato fallito, aveva ceduto l’attività ai due figli. Poi però, quando era passato del tempo, voleva di nuovo prendere i comandi dell’azienda. I figli, hanno spiegato gli investigatori, si erano opposti anche a causa dei rapporti del padre con alcuni pregiudicati della zona. E lui, che li aveva cresciuti, non riusciva più a trattenere la violenza: sei mesi prima dell’omicidio di Piero, durante una lite, lo aveva colpito a martellate sulle ginocchia. Quella mattina del 9 gennaio deve essere scoppiato un altro litigio fra padre e figlio. L’ultimo.
Stefano Di Francesco per due anni e mezzo ha tenuto dentro di sé la verità sulla morte del figlio. Non è riuscito però a cancellare il peso di quello che ha fatto e di tutte le bugie che ha raccontato. Ne ha parlato così al cimitero, dove credeva di essere solo con la sua coscienza, rivolgendosi proprio a Piero. E la microspia ha registrato quella specie di richiesta di «scuse». Da non confondere con il pentimento per un omicidio: in un’altra intercettazione, hanno detto gli investigatori, Stefano Di Francesco si rammaricava infatti perché «doveva morire l’altro figlio e non Piero».