Pubblicato il: 14/07/2014 alle 11:33
Stefano Di Francesco
Conversazioni compromettenti, captate dalle microspie dai carabinieri. Un delitto da portare sulla pista del suicidio. L'inconfessabile e orrenda verità di un padre accusato di aver pianificato l'omicidio del figlio. Un atto d'accusa pesante come un macigno quello che il pubblico ministero di Caltanissetta Roberto Condorelli contesta a Stefano Di Francesco, l'imprenditore di Riesi di 64 anni accusato di aver arso vivo il figlio trentunenne Stefano la mattina del 9 giugno 2012, dopo averlo tramortito e infilato il corpo in un'auto data alle fiamme nel piazzale dell'azienda di famiglia. Ed è proprio la gestione della Tecnoambiente – secondo chi indaga – il movente di questo delitto. Contrasti tra padre e figlio sulla gestione della ditta.
SEGUONEWS ha potuto consultare in anteprima l'ordinanza di custodia cautelare che da giovedì scorso ha mandato in carcere Di Francesco senior, il quale s'è avvalso della facoltà di non rispondere quando è stato interrogato dal gip Maria Carmela Giannazzo. Qui riportiamo alcuni passaggi chiave del dossier sul caso Di Francesco, in particolare le intercettazioni registrate dalle “cimici” piazzate dai carabinieri del Nucleo investigativo anche sulla tomba dell'imprenditore. Ed è lì che gli investigatori hanno ascoltato in cuffia il “mea culpa” di Stefano Di Francesco, raccogliendo gli sfoghi di un padre ritenuto dagli inquirenti il responsabile della morte del figlio. Un monologo in cui Stefano Di Francesco “firmerebbe” a sua insaputa la confessione del delitto.
I magistrati non credono all'originaria versione del padre sotto inchiesta, secondo il quale Piero Di Francesco si sarebbe suicidato bruciandosi nella Mercedes.
Piero Di Francesco“FIGLIO MIO, MI SONO MESSO NEI GUAI…DOVEVO DIFENDERMI”
“Eh figliu mia, mi misi n'dì li guai, sulu ppi tia… ppì difennimi mi parsi ca tiravatu ppì mia, cugliuni. Aviamu a fari mori a tutti…”. E' uno degli audio che incastra Stefano Di Francesco, perché gli inquirenti sostengono che l'uomo abbia ammesso di avere reagito ad una aggressione del figlio come peraltro riferito dalla vedova dell'imprenditore, Giusy Marotta, secondo la quale il giorno del delitto Stefano e il figlio Piero dovevano incontrarsi per un chiarimento. “Chissu dumani mori tra le mie mani”, avrebbe riferito Piero Di Francesco alla moglie annunciando l'incontro con il genitore programmato per l'indomani. Un chiarimento abbastanza turbolento. “Chissà ‘sta mente diabolica cosa sta sta architettando… perché mi puzza di strano”, sono state le parole che la vittima disse alla consorte.
Gli inquirenti in conferenza stampaLA PISTA DEL SUICIDIO, IL PIANTO DEL PADRE E LE STRANE USTIONI SUL CADAVERE
Fra le pagine dell'ordinanza, c'è l'intercettazione chiave. Quella in cui Stefano Di Francesco si sfoga e chiama il figlio con il nomignolo “Cricchietto”. Piange, il padre, davanti alla tomba. “Sono confusu… chi minchia facisti, ti facisti sminchiari…”. Parole che, per chi indaga, dimostrano come Stefano Di Francesco ritiene che il figlio sia stato ammazzato e non che si sia ucciso. “Cricchietto, beddru mia… to pà chi ti fici! Cricchietto…”.
Perché mai un uomo che ha intenzione di suicidarsi si preoccupa di comprare una miscela di olio e benzina, rifornendosi da un distributore di benzina in paese? Un interrogativo che il sostituto Condorelli e i carabinieri si sono posti, scartando fin da subito la pista che Di Francesco si sia ucciso. Il combustibile era stato acquistato dalla vittima per alimentare il gruppo elettrogeno.
Piero Di Francesco respirava ancora quando il suo corpo è stato caricato nella Mercedes e poggiato sui sedili posteriori. Ma le ustioni di quarto grado, come rilevato dal medico legale, hanno interessato solo la parte anteriore, le braccia e la testa e non la schiena. Difficile – per chi indaga – ipotizzare dunque che un aspirante suicida si versi la benzina soltanto su un versante del corpo e non rovesci interamente il liquido infiammabile su di sè. Altra perplessità. Una persona vigile e assalita dalle fiamme, doveva necessariamente contorcersi e non rimanere immobile come invece è stato rinvenuto il cadavere carbonizzato. Peraltro l'autopsia ha rilevato tracce di anidride carbonica nei polmoni dell'imprenditore. Segno che Di Francesco era ancora vivo, ma incosciente, quando è stato arso.
LE FASI DEL DELITTO, LA MESSINSCENA DELL'ESCAVATORE
Da queste osservazioni fondate anche da accertamenti medico-legali, la Procura di Caltanissetta ha potuto tracciare una ricostruzione del delitto. Piero Di Francesco è stato colpito alla parte destra della testa con un corpo contundente. Una lesione che lo ha tramortito. A quel punto è stato caricato sulla parte posteriore della vettura, cosparso della miscela e dato alle fiamme. L'auto, invece, è stata incendiata con il gasolio prelevato da un fustino dell'azienda e ritrovato in parte liquefatto sul sedile anteriore del passeggero. Il resto è cronaca. Stefano Di Francesco, la mattina del 9 giugno, riferisce di rientrare da Caltanissetta e di aver notato una colonna di fumo provenire dal piazzale dell'azienda. E' l'auto che brucia. Lui allora sale su un escavatore e butta una tonnellata di sabbia, dicendo di essersi accorto soltanto dopo che nell'abitacolo v'era il cadavere del figlio, come confermato dai due operai che in quel momento stavano svolgendo dei lavori nella sua villetta, confinante con l'azienda.
IL TELEFONINO SPARITO E I DUE SQUILLI
Ci sono anche i tabulati telefonici tra gli elementi d'accusa contro Stefano Di Francesco. Gli inquirenti infatti hanno accertato due squilli partiti dal cellulare dell'indagato verso il telefonino del figlio. Ritrovando il telefonino fuori dall'auto, i carabinieri si sarebbero subito insospettiti della “precauzione” di un uomo che vuole uccidersi ma salvaguarda il cellulare. E in effetti il telefonino dell'imprenditore viene ritrovato sul pianale posteriore della Mercedes. A collocarlo lì, per i magistrati, è stato proprio Stefano Di Francesco dopo averlo fatto trillare.
L'avvocato Michele Micalizzi, difensore dell'indagatoPAROLA AL TRIBUNALE DEL RIESAME PER LA VALIDITA' DELLE ACCUSE
Stefano Di Francesco è detenuto nel carcere di Caltanissetta con l'accusa di omicidio aggravato. L'uomo per ora si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma l'avvocato Michele Micalizzi che lo assiste ha annunciato di voler chiedere un interrogatorio con il pubblico ministero Roberto Condorelli, che coordina le indagini arrivate ad una svolta dopo due anni e mezzo di serrate indagini. Il primo banco di prova per le accuse formulate a Stefano Di Francesco sarà il Tribunale del Riesame, che dovrà valutare le prove a carico dell'indagato e decidere se convalidare il teorema accusatorio oppure annullare il provvedimento restrittivo al padre accusato di avere brutalmente assassinato il figlio per ragioni d'affari.