Pubblicato il: 20/09/2014 alle 09:45
Carmelo PirrelloSfruttava manodopera straniera riducendola in schiavitù. E' l'accusa che retto nei confronti dell'allevatore nisseno Carmelo Pirrello, 58 anni originario di Riesi, proprietario di una azienda agricola nelle campagne di besaro e colpito da un ordine di carcerazione in esecuzione della sentenza di Cassazione che disponeva la cattura dell'agricoltore per l’espiazione di una pena definitiva pari a 8 anni, 3 mesi 25 e giorni, oltre all’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre dopo l’espiazione della pena. Ad eseguire il provvedimento è stata la quarta sezione della Squadra Mobile di Caltanissetta. Pirrello ora si trova in carcere.
Pirrello venne arrestato nel luglio del 2005, dopo un'indagine della Polizia che scoprì la storia di riduzione in schiavitù in cui versava un giovane clandestino rumeno, all’epoca dei fatti extracomunitario, finito sotto le grinfie dell'allevatore il quale lo aveva posto in uno stato di soggezione e sfruttamento, costringendolo ad estenuanti prestazioni lavorative.
Pirrello fu accusato anche di aver favorito la permanenza illegale del clandestino nel territorio dello stato in violazione delle norme relative al soggiorno degli stranieri in Italia, approfittando della situazione d’inferiorità e di necessità del giovane. Dopo i necessari accertamenti ed appostamenti, nel luglio del 2005, gli uomini della Mobile circondarono il podere del condannato e fecero irruzione, trovando il clandestino in condizioni disumane, al limite della sopravvivenza, costretto a vivere in locali dove i pochi effetti personali si mescolavano a sacchi di immondizia ed a materiali di risulta. La sporcizia del luogo attirava inevitabilmente ratti e parassiti vari che infestavano i locali. Il clandestino non aveva nemmeno acqua per lavarsi o bere, ed era costretto a fare ricorso all’acqua utilizzata per gli animali, che giungeva alla fattoria su autobotti per “acqua non potabile”.
Con il supporto di un interprete il rumeno, in evidente stato di denutrizione e di abbandono fisico, veniva interrogato e confermava lo stato di schiavitù e sfruttamento in cui era stato posto, riferendo che lavorava per quest’ultimo per sedici ore al giorno (dalle ore 06.00 alle 23.00), tutti i giorni, compresi i festivi; che era stato costretto a lavarsi ed a bere la stessa acqua usata per gli animali, pur essendo acqua non potabile; che in due occasioni Pirrello gli aveva fatto mangiare la carne di due pecore affette da brucellosi, malattia che poi contrasse.