Pubblicato il: 30/10/2014 alle 11:42
Questa mattina gli inquirenti hanno fatto il punto sul sequestro del sito minerario Bosco Palo che ha portato alla denuncia di tre alti funzionari regionali per disastro ambientale colposo e discarica abusiva (Leggi l’approfondimento). Il sito, operativo dagli anni ‘50 fino agli anni ’80 è stato chiuso definitivamente nel 1988 e abbandonato agli agenti atmosferici che, lentamente, hanno corroso i capannoni che, nel 2000 e successivamente nel 2007 sono in parte crollati.
Il procuratore Sergio Lari e l’aggiunto Nico Gozzo hanno specificato con chiarezza e con dati scientificamente dimostrabili che non è stato rilevato alcuni inquinamento nel suolo, nell’aria e nell’acqua per qualche materiale o sostanza che è stata gettata nell’area ma che, invece è stata riscontrata la presenza di amianto che, potrebbe portare a un disastro ambientale solo se non verrà asportato nel breve periodo.
I reati contestati, dunque, sono riferibili a una mancata omissione di misure preventive contro il deterioramento delle lastre di amianto con i quali erano stati costruiti i capannoni e relativa bonifica che, per incuria della pubblica amministrazione, non sono mai stati messi in sicurezza, bonificati o riqualificati in altro modo.
L’Asp di Ragusa negli anni ’90 aveva effettuato delle indagini a seguito di una ipotesi secondo la quale, per presunti illeciti, erano stati accumulati all’interno della miniera rifiuti radioattivi e che, dunque, rendevano il sito pericoloso per la salute dei cittadini che vivevano o transitavano nella zona. Dati che, però, non hanno mai completamente convinto gli inquirenti che trovavano discrepanze talvolta sostanziali e aspetti delineati con superficialità e, per comprendere meglio lo studio epidemiologico, è stata chiesta una consulenza tecnica. Da ciò è emerso che le statistiche non potevano essere accettate come attendibili e le indagini sono ripartite da zero osservando non più le fibre di amianto all’interno – che non hanno contaminato né l’atmosfera néè le acque ma all’esterno e, in particolare, proprio dai capannoni industriali.
I capannoni, così abbandonati sono soggetti al “ruscellamento delle fibre di amianto e allo sfaldamento delle fibrelle che si propagano nell’aria”. In sostanza, ha spiegato il procuratore aggiunto Gozzo, la pioggia negli anni lentamente ha sgretolato l’amianto con il quale era stato costruito il capannone trascinando l’acqua piovana nel suolo. Contestualmente, le stesse particelle pericolose possono essere trascinate dall’aria che poi verrà respirata dagli abitanti.
Proprio per evitare che il rischio ambientale si tramuti in un disastro ambientale sono state previste quattro fasi: le prime due, che si concluderanno entro sei mesi, prevedono la rimozione del materiale contaminato e lo smaltimento dei rifiuti dell’attività estrattiva e del loro trattamento; a queste seguirà la bonifica del suolo e sottosuolo e, per concludere, si potrà procedere a una riconversione del sito. Quest’ultima fase, che si svolgerà nell’arco di quattro anni, potrà portare alla rivalutazione della miniera per altre attività turistico – imprenditoriali.
Altri retroscena delle indagini sono stati illustrati dal comandante della compagnia di Caltanissetta Domenico Dente, dal luogotenente Massimo Capuppo, comandante del nucleo operativo ecologico di Palermo e dal maresciallo Massimo Naselli del Noe di Palermo.