Pubblicato il: 10/02/2016 alle 12:32
Lieto fine per un agente di commercio nisseno G.E. (43 anni) che, a seguito di alcuni controlli effettuati presso la sua sede da parte di un ispettore Enasarco, si è visto dapprima ratificare un accertamento ispettivo (2013) che gli intimava il pagamento di 4.027,64 euro a titolo di contributi omessi in favore di un collaboratore, oltre sanzioni e accessori, e successivamente un decreto ingiuntivo (2014) emesso dal Tribunale del Lavoro di Roma.
L'agente di commercio rappresentato e difeso dagli Avvocati Ernesto Brivido e Andrea Di Carlo, ha dunque opposto il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma sezione Lavoro sostenendo l’illegittimità della pretesa sottesa al ricorso per ingiunzione, in quanto il rapporto intercorso con la ditta collaboratrice in questione non sarebbe stato riconducibile a un rapporto di agenzia, come invece preteso dalla Fondazione, ma ad un semplice procacciamento di affari.
Con la sentenza numero 10808/’15 del 9.12.2015, il Tribunale Roma, Sezione Lavoro presieduto da Giovanni Armone, accoglieva l’opposizione promossa da G.E. non ritenendo provata da parte di Enasarco la conducenza del rapporto intercorso tra lo stesso ed il proprio collaboratore ad un contratto di agenzia.
Il Tribunale di Roma ha avuto modo di chiarire come “il rapporto di agenzia si distingue dal rapporto di procacciatore d’affari, per la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente che, non limitandosi a raccogliere episodicamente le ordinazioni dei clienti promuove stabilmente la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale” cosicché “le parti possono prevedere forme di compenso delle prestazioni dell’agente diverse dalla provvigione determinata in misura percentuale sull’importo degli affari conclusi, come ad esempio una somma fissa per ogni contratto concluso, od anche un minimo forfetario; ne consegue che l’esiguità dei compensi percepiti dal lavoratore non esclude la configurabilità del rapporto di agenzia”; “caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; invece il rapporto di procacciatore d’affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa”.
Il giudice Armone, inoltre, ha evidenziato nella sua pronuncia come “la non episodicità degli affari procurati costituisce solo uno tra gli indici dai quali desumere l’esistenza di un rapporto di agenzia e che le modalità di pagamento del compenso sono di per sé neutre ai fini della definizione del rapporto; così come si può avere un agente anche in presenza di compensi esigui, analogamente il procacciatore d’affari può essere remunerato con importi elevati e in tranches cadenzate, ma sempre nell’ambito di un rapporto caratterizzato dall’occasionalità e non dalla stabilità”. Nel caso di specie l’insufficienza di prova in ordine alla stabilità e continuità del rapporto tra l’opponente e la ditta collaboratrice, e anzi la presenza di forti indizi della sua occasionalità, hanno condotto all’accoglimento del ricorso ed alla revoca del decreto opposto, con la condanna della Fondazione Enasarco a risarcire le spese legali sostenute dall'agente di commercio.