Pubblicato il: 04/01/2014 alle 10:18
Vecchie grancasse “arripizzate”, secchi di zinco mezzo sfondati, brocche di terracotta “sgangate”, drappi colorati e poi strumenti antichi e piccoli giocattoli di gomma, scatole di uova, scorze di noci di cocco, biglie, nacchere, legnetti, leggii e ancora tante e tante cose messe lì pronte (poi si scoprirà il perché) a eseguire una sinfonia; sì, una sinfonia fatta di note e di parole, di colori e di rumori. Questo è “Vangelu secunnu” di Cinzia Caminiti Nicotra. Uno spettacolo, organizzato dall’assessorato “ai saperi e alla bellezza condivisa” del comune di Catania, denso di racconti e canti popolari liberamente ispirato ai Vangeli apocrifi e che narra la storia di Gesubamminu da quando nasce e fino alla licenza elementare. Un testo raffinato, in dialetto siciliano arcaico, che sin dall’inizio sorprende per la sua musicalità e la ricercatezza nello stile e nei contenuti che restano comunque antichi e popolari nonostante la modernità del ritmo che mai si perde e anzi diventa sempre più incalzante fino a diventare, alla fine, alla scuola del maestro Zaccheo, fragoroso e coinvolgente come fuochi d’artificio. La regia a firma della stessa autrice è semplice ma non per questo banale anzi ben congegnata e con delle intuizioni davvero interessanti come quella per esempio di sottolineare le sensazioni, i miracoli, gli “incidenti”, e i momenti più significativi come le feste di paese, il lavoro nei campi, i giochi dei fanciulli, i suoni della natura e tanto altro ancora, con i rumori tipici: (la sega, l’acqua che scorre, gli uccellini che cinguettano, il gallo che canta al mattino…) dando così alla messa in scena un particolare e originale valore visivo ed uditivo. Tutto fa musica! In scena tre affabulatrici, tre musicanti e un madonnaro che invece di disegnarli a terra i santini, li proietta qui e là sulla scena. Anche questa una gradevolissima trovata. Le immaginette, bellissime e antiche, sono state raccolte ed elaborate su dei bei video realizzati da Gianni Nicotra. E poi, Iddu, il divo! Gesù detto pure, Salvo, Salvuccio, Turi, Savvatore… visto dall’autrice, sì come “un picciriddu troppu troppu spiciali” ma anche e soprattutto come un bimbo vero, terreno, umano, discolo e dispettoso che combina di tutto e fa arrabbiare la bella Madre e il povero Patriarca suo padre: un divertentissimo pargolo molto somigliante ad un fumetto! Le affabulatrici, colonne portanti di questa delicatissima opera hanno il delicato compito di accompagnarci in questo viaggio che traccia la vita e i prodigi e gli incontri del personaggio più importante e famoso di tutta la Storia e lo fanno con un rigore, una maestria e una professionalità davvero rara. Sono in tre e sembrano una sola, parlano, cantano, e si muovono con leggiadria e sicurezza. E’ bello ciò che raccontano e lo sanno e perciò fanno ridere, fanno commuovere, fanno cantare insieme a loro le più belle ninnarelle e battere a tempo le mani. Sono Cinzia Caminiti, Rosalba Sinesio, Iolanda Fichera. Tre attrici di grande spessore che sanno come trattare il dialetto antico e il canto popolare siciliano. I tre musicanti oltre ad essere qui eccellenti musicisti polistrumentisti (Paolo Filippini credibilissimo fisarmonicista, Stefano La rosa virtuoso chitarrista e Paolo Capodanno ora ai flauti, ora ai plettri, ora alle percussioni) sono qui chiamati anche a fare, (oltre che a sorpresa l’interpretazione di Nichi Vendola e di Dio dalla possente voce), con i “rumori” di cui sopra da colonna sonora a tutta la messa in scena. Ed è musica, bella anche a vedersi! Loro sono tre e sembrano un’orchestra. Paolo Capodanno autore delle musiche, è una vecchia conoscenza in fatto di composizione per teatro e non ha mai (a che mi risulti) sbagliato un colpo. Con questo lavoro conferma la propria sensibilità musicale e insieme all’autrice la loro ormai consolidata intesa artistica. Affabulatrici, musicanti e madonnaro, sono una bella compagine: ognuno, sempre, ben calato nel ruolo che interpreta e tutti insieme, sempre, in sintonia l’uno con l’altro. La compagnia “schizzid’arte”, da quasi trent’anni si occupa di ricerca e ci ha abituati ormai a cose pregevoli, non abbiamo dimenticato “la canzone d’autore del primo Novecento a Catania” una rarità che ancora ricordiamo e di cui conserviamo il preziosissimo cd. Per questo ultimo lavoro perciò non ci aspettavamo di meno. Sono molto bravi e lo sappiamo. Ora, cosa si chiede in fondo, ad uno spettacolo? Stupore, poesia, ironia, commozione, incanto… e quello che abbiamo visto stasera è senz’altro tutto questo e forse qualcosa di più. Il pubblico, estasiato, (tanti i giovani in sala) ha gradito.
Giulio Contino