Sono 45 le persone indagate nell'ambito di una maxi truffa all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura scoperta a Enna, dove carabinieri e guardia di finanza hanno dato esecuzione a un'ordinanza di applicazione di misure cautelari, personali e reali.
Nove persone sono state poste agli arresti domiciliari, per 18 è stato disposto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, mentre altre 18 sono indagate in stato di libertà.
Agli arresti domiciliari Antonio Cammarata, 34 anni, di Capizzi; Fulvio Valentino Pergola, 49 anni, Carmelo Amoruso, 48 anni, di Nicosia, ex vice sindaco del centro ennese; Antonino Iraci Sareri, 44 anni, di Catania; Giuseppe Alessandro Militello, 45 anni, di Troina; Salvatore Fascetto, 33 anni, nato in in Germania; Tommaso Fascetto, 79 anni, di Capizzi; Mario Antonino Iraci Sareri, 57 anni, di Capizzi; e Giuseppe Zuccarà, di 54 anni, di Capizzi.
Per tutti gli indagati è stato disposto il sequestro preventivo per un importo complessivo di circa 8 milioni a cui vanno aggiunti oltre 2 milioni sequestrati a più riprese dai carabinieri e dai finanzieri. I provvedimenti sono stati emessi dal gip di Enna su richiesta della locale Procura. L'operazione scaturisce da un'inchiesta denominata 'Maglie larghe', nata nel 2015 e protrattasi fino alla metà del 2017 che avrebbe fatto emergere "un collaudato sistema affaristico-criminale" che puntava all'illecita acquisizione di contributi comunitari attraverso l'Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura). Gli indagati, dichiarando falsamente la proprietà o l'affitto di terreni principalmente in Sicilia, ma anche in diverse altre regioni per un totale di oltre 25.000 particelle catastali esaminate sull'intero territorio nazionale, avrebbero indebitamente percepito, dal 2005, fondi Ue per oltre 10 milioni di euro. Secondo la Procura "la realizzazione del disegno criminoso è stato reso possibile attraverso l'attività di molti operatori e responsabili dei Centri assistenza agricola", i quali, sostiene l'accusa "anziché svolgere le proprie funzioni di consulenza e controllo sulle domande per ottenere fondi comunitari erano piuttosto parte integrante del sistema fraudolento". Per eludere possibili accertamenti le domande venivano spesso formalizzate principalmente da donne con requisiti tali da evitare di destare l'attenzione degli investigatori come un'età inferiore ai 40 anni, in molti casi un'elevata scolarizzazione e importi inferiori ai 150 mila euro, cifra oltre la quale la normativa antimafia prevede specifici accertamenti.