Pubblicato il: 26/01/2018 alle 14:32
Associazione mafiosa aggravata dall’essere armata, traffico di stupefacenti, prostituzione anche minorile, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Con queste contestazioni, a vario titolo, in dieci tornano alla sbarra. Già dal primo grado del giudizio, da cui ne sono usciti con un verdetto di colpevolezza, hanno chiesto di essere processati con il rito abbreviato. E adesso i loro legali stanno valutando la possibilità di concordare la pena con la procura generale.
Sono tra i ventidue coinvolti nella maxi operazione di polizia, sotto il coordinamento della direzione distrettuale antimafia nissena, ribattezzata «Kalyroon» che nel marzo del 2015 ha dato vita a una pioggia di provvedimenti cautelari.
Al cospetto della corte d’Appello presieduta da Andreina Occhipinti (consiglieri Marco Sabella e Giovanbattista Tona) sono chiamati il presunto reggente di Cosa nostra a San Cataldo, Calogero Maurizio Di Vita, quarantottenne che è stato condannato a 18 anni di carcere; il quarantaduenne Pietro Mulone che s’è visto infliggere 11 anni e 4 mesi; il cinquantaduenne Antonio Domenico Cordaro che ha rimediato 14 anni e 4 mesi; il figlio di quest’ultimo, il trentaquattrenne Calogero Luca Cordaro con 7 anni e 4 mesi; il trentacinquenne Elis Deda condannato per singoli episodi di spaccio a 6 anni di reclusione e 26 mila euro di multa, ma assolto per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti; il quarantaquattrenne Fabio Ferrara con 4 anni e 20 mila euro di multa; il cinquantacinquenne Salvatore Cordaro con 11 anni e 3 mesi; e chiudono il quadro il quarantaquattrenne Vincenzo Scalzo, il quarantanovenne Vincenzo Ferrara e il trentasettenne Angelo Giumento con 10 anni e 7 mesi ciascuno (difesi dagli avvocati Davide Anzalone, Antonio Impellizzeri, Dino Milazzo, Giuseppe Dacquì, Calogero Vinci, Salvatore Daniele ed e Andrea Alberti).
Inoltre tra le pieghe del primo verdetto – emesso dal gup nell’ottobre di due anni fa – Calogero Di Vita, Antonio Cordaro, Pietro Mulone Salvatore Cordaro, Angelo Giumento e Vincenzo Scalzo, sono stati pure condannati a 3 anni ciascuno di libertà vigilata da osservare quando avranno finiti di scontare la pena.
Alle indagini che li ha cacciati nei guai – arricchite da parecchie intercettazioni raccolte dagli investigatori – hanno contribuito diversi collaboratori di giustizia, ai quali, più di recente, si è aggiunto il carrozziere sancataldese Alfonso Lipari.
Lo stesso, ora pentito, che ha scelto di rompere con il passato e di avviare un rapporto di collaborazione con la giustizia proprio dopo il suo coinvolgimento in questa operazione di polizia e Dda.
Così le sue rivelazioni si sono aggiunte a quelle di pentiti storici come Francesco «Ercole» Iacona, Carlo Alberto Ferrauto, Agesilao Mirisola e Pietro Riggio che in precedenza si erano soffermati sullo scenario al centro dell’inchiesta e che abbraccia un ampio arco di tempo.
Secondo la tesi accusatoria – adesso fatta propria dal sostituto procuratore generale Carlo Lenzi – il gruppo legato a Cosa nostra avrebbe assunto il controllo di attività imprenditoriali ed economiche, compreso concessioni e forniture per appalti sia pubblici che privati. Ma tar gli interessi dell’associazione avrebbero trovato posto anche lo sfruttamento prostituzione, anche di minorenni, oltre ad una intensa movimentazione di droga. (Vincenzo Falci, Gds)