«Io sono un elettricista disoccupato, mia moglie casalinga, dopo avere esaurito ogni risparmio, abbiamo dovuto vendere quel poco oro che avevamo in casa. Perfino le fedi del matrimonio abbiamo venduto per potere garantire ai nostri quattro figli il diritto allo studio comprandogli i libri». Emanuele Zappulla, 46 anni, tecnico elettro-strumentale, licenziato dalla sua ditta di installazione di impianti di refrigerazione industriale e che per la crisi ha dovuto chiudere i battenti, è uno dei tanti poverissimi di Gela. Nella cittadina nissena non c'è stata solo la scure della recessione a tagliare i livelli occupazionali e a buttare sul lastrico centinaia di famiglie. Qui la realtà industriale, legata alla presenza predominante dell’Eni, si è sbriciolata appena l’azienda ha deciso (nel 2014) di chiudere la raffineria perchè il mercato dei carburanti era saturo. In pericolo tremila posti di lavoro: 1100 nel diretto, gli altri nell’indotto. Ma l'onda d’urto si è allargata a macchia d’olio anche nel terziario, con crollo delle vendite per artigiani e commercianti e chiusure di esercizi per bancarotta. Un filo di speranza per la possibile ripresa è giunto dal protocollo d’intesa firmato al ministero per lo sviluppo economico nel novembre del 2014, quando l’Eni annunciò la riconversione degli impianti gelesi in "Green refinery" per la produzione di bio-carburanti. La costruzione del nuovo complesso produttivo si concluderà a fine anno e occuperà 250 dipendenti del Diretto e solo 150 nell’Indotto. Gli altri 2550 dovranno cercare posto altrove. Per due anni Emanuele è andato all’estero. «Ti sfruttano tutti», dice. «Ho girato il mondo: Kazakistan, Malesia, Turchia, Francia, Caraibi, per 2000 euro al mese mentre le famiglie, in lontananza, rischiano di sfaldarsi. In quel periodo – ricorda – cinque miei colleghi hanno divorziato e due hanno tentato il suicidio». Ma anche quel tempo è finito. Ora Emanuele è tornato e «per sopravvivere – ammette, desolato – ci sono solo i 700 euro della mobilità che sta per scadere ma soprattutto l’aiuto dei nostri genitori e dei nonni». (Ansa)