Pubblicato il: 29/07/2018 alle 10:20
Se tu penserai, se giudicherai da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese ma se capirai,
se li cercherai fino in fondo se non sono gigli
son pur sempre figli vittime di questo mondo.
(Fabrizio De André, Città vecchia, 1966)
Nel tardo pomeriggio di venerdì 27 luglio, ho partecipato ad un incontro organizzato da don Giovanni Galante presso i locali esterni della chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie in Contrada Roccella nei pressi di Serradifalco. L’incontro ha permesso di approfondire la tematica delle migrazioni. Su questo tema, ho dibattuto con il deputato nisseno della Lega di Matteo Salvini, l’on. Alessandro Pagano.
Nel mio intervento, ho presentato la questione delle migrazioni come un fenomeno complesso nella prospettiva politica, culturale, sociale, economica e religiosa. Alla luce della complessità del problema, le istituzioni a livello nazionale e internazionale devono incamminarsi verso una programmazione seria in termini di sviluppo e di integrazione che riguarda tanto i Paesi di partenza dei migranti quanto quelli di arrivo. Difatti, dinanzi a movimenti migratori che coinvolgono milioni di esseri umani, le strumentalizzazioni, le frasi ad effettoe la proposta di un mix tra xenofobia e difesa delle radici pseudo-religiose-devozionali non servono a nulla se non ad alimentare paura, divisione e odio.
Inoltre, se il complesso fenomeno delle migrazioni viene riletto alla luce del messaggio evangelico, l’interpretazione deve avvenire con gli occhi della fede. Tale visione genera, anzitutto, il principio-responsabilità che ogni uomo ha nei confronti di un suo simile. Sul tema della reciproca responsabilità fra gli esseri umani, Papa Francesco ha più volte richiamato la celebre domanda che – come riporta il libro della Genesi (4,9) – Dio rivolge a Caino: «Dov’è tuo fratello?». La risposta di Caino è tesa alla ricerca della deresponsabilizzazione rispetto al fratello al pari di quanto, nel corso della storia dell’umanità, interi popoli e importanti istituzioni hanno fatto e continuano a fare. Il punto è che tramite la novità del cristianesimo, come viene sostenuto dall’apostolo Paolo nel Nuovo Testamento, lo straniero non è più inteso alla maniera dei popoli pagani ovvero come un nemico, bensì come uomo-amico in Cristo Gesù.
Di fronte alle difficoltà generate dal fenomeno epocale delle migrazioni, nessuno – tantomeno i credenti – possiede la soluzione in tasca. Ma dinanzi ad un clima di scontro, di strumentalizzazione, di volgarità, di vero e proprio razzismo, i cristiani possono avanzare nel dibattito pubblico elementi come la razionalità, il realismo, il discernimento sui problemi, la prudenza, la progettualità. Come hanno ribadito di recente i vescovi italiani – nel documento Comunità accoglienti. Uscire alla paura – esistono dei limiti reali all’accoglienza i quali, però, non possono condurre all’egoismo, all’individualismo, alla paura dello straniero, alla chiusura culturale, economica e politica.
Per uscire dalla paura, occorre avviare e sostenere un’opera educativa che tenga in considerazione, per i cristiani, la capacità di generare comunità fraterne in grado di vivere la comunione. Questa viene considerata dallo scritto A Diognetodel II secolo d. C., come l’unica caratteristica specifica dei seguaci di Cristo Gesù. Così, il percorso educativo va costruito a partire dalla dinamica dell’ascolto delle storie di chi fugge dalla propria nazione per esercitare il diritto inalienabile alla vita. Infatti, prima di avanzare proposte via Twitter– non riscontrate in documenti ufficiali e perciònon operativeperché inesistenti – o descrivere la vita dei migranti in Italia con il termine per nulla evangelico di “pacchia”, bisogna comprendere le remote ragioni delle partenze. Ragioni che conducono alle responsabilità del neocolonialismo Occidentale sull’Africa il quale continua a produrre – come ha recentemente dichiarato in una lettera aperta Padre Alex Zanotelli – guerre civili, desertificazione, crisi alimentare, sfruttamento intensivo delle materie prime e delle coltivazioni.
Come ha affermato don Massimo Naro in un’intervista sulle migrazioni apparsa di recente sulla rivista di cultura dell’informazione Desk, la Sicilia e i siciliani sono una terra e un popolo dell’accoglienza poiché per secoli i vari fenomeni migratori che l’hanno riguardata, hanno prodotto un meticciato culturale capace di riconoscere tanto le ferite e i bisogni dei migranti quanto le loro positività. Pertanto, davanti all’ondata migratoria mossa da esigenze legate a tutelare il diritto alla vita di migliaia di uomini, di donne e di bambini – per nulla paragonabile alle offensive musulmane dei secoli scorsi volte a conquistare con la scimitarra l’Europa – occorre un piano culturale, politico, sociale, economico e religioso teso sia all’accoglienza-integrazione sia allo sviluppo e all’indipendenza reale dei Paesi di partenza.
Rocco Gumina