Pubblicato il: 21/12/2018 alle 22:04
Il pazzo di “Così parlò Zarathustra”- una delle più belle e celebri opere del filosofo di fine Ottocento Nietzche- corre per le strade e annuncia irrevocabilmente la morte di Dio. “Dio è morto! Dio è morto” è attuale anche oggi nelle nostre strade del mondo, della nostra Italia, nella nostra città. La cosa che più dovrebbe invitarci a riflettere è che almeno allora si parlava di un Dio morto, oggi piuttosto di un Dio assente o che non interpella le coscienze, non riempie financhè la cultura, la scuola, le radici della nostra Italia. Ci hanno imposto recentemente di non celebrare il precetto nelle scuole, in alcune di non fare il presepe, di costruire semplicemente un albero di Natale, adornato di qualche palla o stella filante, ma che diventa senza radice, senza identità. Un Natale senza storia, apocopato di secoli di cristianesimo, di fiducia nel corso dei tempi. Il fallimento non è l’immigrazione, non è la secolarizzazione, non è la globalizzazione, poiché è da cinquant’anni che se ne parla, ma questi erano fattori che si incastonavano brillantemente nelle nostre radici di sempre, nella nostra tradizione di popolo cristiano e con segno di identificazione: il Natale del Signore, del Figlio di Dio fattosi carne. Il Natale dell’angelo che annuncia gridando ai pastori: “Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus”. Il Natale della speranza, della gioia, della piena umanizzazione! Il Natale della famiglia, che era icona della Sacra Famiglia, dove regna- seppur in un periodo- la stessa pace e speranza. È il Natale della solidarietà, del rispetto, dell’amicizia fraterna.
La cultura prettamente cristiana non ha distrutto mai la tolleranza, la convivenza con altre culture; non ha mai tagliato radici che hanno conservato i nostri fratelli musulmani che sono giunti insieme a noi, hanno mangiato con noi, etiopi, nigeriani, senegalesi, sudanesi, marocchini, tunisini, egiziani. Come abbiamo trasformato la nostra Italia? Vergogna! Un popolo senza identità, senza radici, solo per colpa di un’élite priva di rispetto per la cultura di un popolo e che alza la bandiera dell’ateismo, dello scientismo, che aizza gli studenti ad un falso rispetto, ad un perbenismo religioso, che diventa non cultura, ma fame spirituale e valoriale. Diventa non pace, ma guerra interiore, perché qui non mi riferisco ad un discorso di fede, ma di cultura. L’IRC la insegno da trent’anni e non ho mai incontrato nessuno che- come quest’anno- mi ha vietato di celebrare il precetto di Natale, che è stato condiviso da studenti anche non cristiani, da presidi agnostici. È stato occasione di dialogo, di identità, di scolarizzazione, perché gli studenti hanno sempre collaborato per la preparazione della Celebrazione, per i canti italiani e inglesi, per gli addobbi che hanno messo nella stessa mia Chiesa, che ho messo sempre a disposizione.
Adesso per colpa di fanatici genitori, di stupidi e insensati studenti, per persone prive di ossature e- oso dire sempre nelle mie Omelie- zombie che camminano in cerca di vivi da divorare, privi anch’essi di senso, privi di amore al cristianesimo, privi di rispetto per le radici di un paese. In nome di che cosa? Di quale cultura? Si parla di laicità, ma di quale? La laicità è anche rispetto per la cultura, è promozione culturale di valori cristiani, ma che sono inseriti in un retroterra stabile che si chiama Tradizione. E l’innovazione di ogni strumento non lede la tradizione, ma la costruisce. Costruiamo un presepe con una capanna, ma senza Maria. Giuseppe e Gesù Cristo che senso ha, o insensati e privi di forma? Costruiamo un albero di Natale ma senza riferimenti alcuni all’albero sempreverde, che è Cristo? Che senso ha? Stiamo scherzando? La fede l’abbiamo svenduta nei lounge-bar, nei pub, nella laicità secolarizzata e atea? Ma volete anche svendervi la cultura cristiana senza radici? Perché non promuovere insieme al Pon, all’Erasmus, all’Open Day la conservazione della Messa di precetto? Perché non promuovere il Natale del Signore, che è stato nel cuore di un popolo cristiano? Se emigrassimo in Marocco o in Tunisia e toglieremmo una mezzaluna ci taglierebbero la testa e non giudico questo gesto, perché almeno le scuole o gli Stati conservano questa identità. Noi l’abbiamo svenduta, non ne abbiamo più. Ieri durante le mie corse a Pian del Lago riflettevo- osservando le luci natalizie delle vetrine e delle case- che celebriamo un Natale senza IL Festeggiato, senza identità, costellato da luci fatue e vuote.
Un Natale senza fede, un Natale senza significato! Sostituire la mangiatoia del presepe con un pupazzo è una cosa insensata e stupida, nonché senza radici! Meglio non celebrarlo o festeggiarlo affatto questo Natale! Ma se ancora crediamo nel Natale è perché crediamo nelle radici di sempre, folte e stabili. La cultura rasenta del relativismo, che tanto questo laicismo e non laicità, combatte. La stessa laicità dunque si imbeve di non senso, di soggettivismo, di elitarismo, di falso perbenismo, di storicismo e oserei dire di decadentismo e di surrealismo. Combattono il relativismo, ma lo promuovono. L’essere metafisico diventa doxa (Apparenza) se si snatura la sostanza e gli accidenti. Così il Natale se viene privato della sua sostanza! Natale di chi? Natale di che cosa? Il popolo è ferito dall’ignoranza e l’élite non solo nega la conoscenza delle radici, ma gli vieta la promozione della propria stessa identità. E per élite mi riferisco proprio al Provveditorato, allo Stato che non ha neanche un’identità sessuale (mi riferisco al Gender proposto dal Senato e dalle Camere ma rifiutato dallo stesso popolo), ai nostri dirigenti, alla cultura mediatica che propone una cultura senza radici e insensata. Vergogna! Cultura significa colere, coltivare e nel corso dei secoli il Natale è stato coltivato nel cuore del popolo e io- dopo trentaquattro anni- mi sento vietare un precetto. Non hanno forse capito quegli ignoranti dei genitori che i propri figli possono fare delle scelte e che possono anche alternare con altre attività, ma non negare le proprie radici! Non hanno forse compreso che la scuola deve promuovere la verità di una cultura cristiana.
Non hanno forse compreso che togliere il popolo di un’identità vale a dire perdere ogni riferimento non laicale, ma di popolo. Credo che il Natale di Cristo è piena umanizzazione. Da sempre ha convissuto con la fede, perfino dando scossoni alla coscienza. Ricordiamo ancora l’attuale romanzo di Charles Dickes Christmas’ Carol”, che descrive nella narrazione il Natale del popolo e come i tre Spiriti possono cambiare un uomo vissuto nella cupidigia e nella solitudine! Un popolo che ha coniugato cultura e fede natalizia. C’è stata sempre una scelta ad esempio la Notte di Natale tra festeggiare a casa con un cappone o una giocata a carte o celebrando la vita o meglio il Signore della vita in Chiesa. La cometa del presepe è Cristo, vogliamo negarlo? Spero che queste mie riflessioni non siano state pesanti, ma sono frutto di una mia riflessione, di un mio pensiero più che da prete, da uomo che difende l’essenza, l’ontologia del Natale e del sensus fidei del suo popolo, che può fare le sue scelte e non contrastare anche la coscienza delle minoranze. Viva il Natale del Signore! Viva il presepe! Viva il popolo cristiano!