"Sono rimasto in carcere per 16 anni e ho sempre proclamato la mia innocenza. Fino a che ho ritrattato ero una persona libera poi mi hanno chiuso in caserma a me e alla mia famiglia. Per me era impossibile che si cercasse la verità. Era impossibile". Lo ha detto questa mattina il falso collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino deponendo a Caltanissetta nell'ambito del processo sul depistaggio che vede imputati tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex appartenenti del gruppo Falcone-Borsellino. Presente in aula anche Fiammetta Borsellino, la figlia minore del giudice Paolo Borsellino, parte civile nel processo. Scarantino con le sue dichiarazioni provocò il depistaggio sulle indagini di via d'Amelio. "Dicevo di essere disperato – ha aggiunto – ma nessuno mi credeva. Volevo ritrattare ma venivo preso per pazzo". Scarantino ha anche detto che "Andreotta scriveva tutto quello che dicevo. Io mi sfogavo. L'unica colpa che ho avuto è stata che non ho messo la museruola. C'erano detenuti che stavano nella sezione di mio cognato Salvatore Profeta che mi dicevano che non parlava con nessuno. Era proprio il suo carattere". Il falso pentito ha parlato anche del suo arresto, risalente al 26 settembre 1992, "assieme a Salvatore Profeta, mio cognato, ma a Profeta lo hanno subito liberato e a me no. L'imputazione era per strage. Mi accusavano Salvatore Candura e Valenti, ma anche il dottor La Barbera, il dottor Bo e il dottor Ricciardi".