Pubblicato il: 16/05/2019 alle 15:37
“Io parlavo con le guardie a Busto Arsizio dicevo la mia disperazione della mia innocenza. Dicevo che stavo male e loro mi prendevano per pazzo”. Appare molto dimagrito Vincenzo Scarantino, il falso pentito che con le sue dichiarazioni provocò il depistaggio delle indagini su via D’Amelio nell’ambito del processo che si celebra a Caltanissetta e che vede sul banco degli imputati tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex appartenenti del gruppo Falcone-Borsellino. Scarantino, rispondendo alle domande Procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci ha anche parlato del pentito Andriotta. “Andriotta scriveva tutto quello che dicevo. Io mi sfogavo. L’unica colpa che ho avuto è stata che non ho messo la museruola. C’erano detenuti che stavano nella sezione di mio cognato Salvatore Profeta che mi dicevano che non parlava con nessuno. Stu to cugnatu un parla mai. Era proprio il suo carattere. Lui per 18 anni ha detto solo buongiorno e buona sera”. Sempre in riferimento al cognato Salvatore Profeta ha aggiunto. “Sono stato arrestato il 26 settembre 1992 assieme a Salvatore Profeta, mio cognato, ma a Profeta lo hanno subito liberato e a me no. L’imputazione era per strage. Mi accusavano Salvatore Candura e Valenti, ma anche il dottor La Barbera, il dottor Bo e il dottor Ricciardi. Io iniziai a collaborare nel giugno del 1994 dopo che mi hanno portato a Pianosa. E sono rimasto in carcere fino al giugno 1994”.