Pubblicato il: 17/05/2019 alle 12:48
«Erano tutti consapevoli che io non sapevo niente. Ma dovevo portare questa croce. Mi hanno rovinato l’esistenza, io non ho mai fatto niente. Non c'entro con le stragi. I poliziotti mi dicevano cosa dovevo dire ai magistrati e me lo facevano ripetere». Così il falso pentito Vincenzo Scarantino, il cui esame è ripreso questa mattina all’aula bunker di Caltanissetta, nell’ambito del processo sul depistaggio dell’inchiesta per la strade Borsellino, che vede sul banco degli imputati i tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, che facevano parte del gruppo investigativo 'Falcone e Borsellinò guidato dall’allora capo della Squadra mobile Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002.
I tre sono accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Scarantino ha continuato a rispondere alle domande del pm Gabriele Paci. «Io andavo dai magistrati e ripetevo, quando ci riuscivo, quello che mi facevano studiare. Ma non sempre riuscivo a spiegare ai magistrati o alla corte quello che mi insegnavano. Loro mi dicevano: 'Quando non sai una cosa basta che dici ai magistrati che devi andare in bagno, tu ti allontani e poi ci pensiamo noi. Ti diciamo noi quello che devi dirè. Quando andavo alle udienze dicevo che dovevo fare la pipì, andavo nella stanza e mi dicevano loro cosa dire. E io poi io in aula cercavo di ripetere le cose che mi dicevano». Scarantino ha parlato anche di pressioni psicologiche che avrebbe subito da un altro poliziotto, Vincenzo Ricciardi, per quanto riguardava sua moglie e i suoi figli.