Non reggono le accuse a carico di un imprenditore e un tecnico. È sull'onda dei lavori per la costruzione della nuova ala del palazzo di giustizia che sono finiti in giudizio. Sono stati chiamati a rispondere di abbandono di rifiuti in assenza di autorizzazione.
Imputazione che è piovuta sul quarantaquattrenne Michele Iraci direttore tecnico dei lavori e il quarantottenne Angelo Romano legale rappresentante della Ati, l'associazione temporanea d'imprese che poi ha avuto affidati i lavori (entrambi assistiti dall'avvocato Giuseppe Panepinto).
Il giudice Valentina Balbo, accogliendo la tesi difensiva – secondo cui non è stata accertata né la provenienza, né il tipo di materiale finito nel sito in questione – li ha assolti entrambi perché «il fatto non sussiste». Di contro l'accusa, pur ritenendo che i due fossero responsabili ha prospettato l'applicazione della prescrizione, ma chiedendo la confisca delle quote per le responsabilità amministrative del consorzio.
È per la destinazione del materiale di risulta proveniente da lavori di sbancamento in via Libertà che i loro nomi sono finiti nel registro delle notizie di reato. A curare nella fase delle indagini il dossier a loro carico è stato il sostituto procuratore Luigi Leghissa. E nel fascicolo, inizialmente, sono stati inglobati più nomi. Tant'è che nella fase embrionale dell'inchiesta sono stati emessi sette avvisi di garanzia.
Provvedimenti che allora hanno interessato, oltre gli attuali imputati, il camionista alla guida di uno dei mezzi pesanti che sarebbero stati utilizzati per il trasferimento del materiale proveniente dal cantiere, un altro imprenditore interessato da un subappalto, l'ex amministratore dell'impresa – successivamente finita in liquidazione – che ha curato il trasporto dello scarto, un ingegnere di Palazzo del Carmine nella veste di direttore dei lavori e, infine, il proprietario dell'area dove sarebbero stato scaricato il terreno proveniente dallo scavo. Un fondo privato che ricadrebbe nell'area protetta della Valle dell'Imera.
Poi, però, cammin facendo l'indagine ha perso qualche pezzo. Perché quattro indagati sarebbero poi risultati estranei alla vicenda e per loro è arrivata l'archiviazione delle rispettive posizioni. Mentre un quinto, per l'esattezza il proprietario del terreno dove il materiale di risulta sarebbe finito, ha deciso di chiudere il suo sospeso con la giustizia raggiungendo l'intesa con la magistratura. E ha patteggiato la pena.
Nel momento in cui le indagini hanno mosso i primi passi sono stati predisposti anche appostamenti per seguire i movimenti dei mezzi pesanti in uscita dal cantiere allestito nell'area archeologica Palmintelli per la realizzazione del nuovo corpo del palagiustizia. E la sezione di polizia giudiziaria Ambiente e sanità ha curato, in quei frangenti, la fase degli accertamenti.
L'indagine ha preso in esame l'intervallo temporale che va da giugno a settembre di sei anni fa. Quando le ruspe sono entrate in azione per le operazioni di sbancamento. Ogni spostamento, ogni presunta irregolarità sarebbe stata documentata dalle telecamere della polizia municipale.