Pubblicato il: 24/06/2019 alle 15:44
"La mia sensazione era che l'ingegnere Di Vincenzo ritenesse Antonello Montante come una persona non all'altezza per quella carica. Infatti non lo sostenne, nonostante avesse da lui ricevuto appoggio. Poi l'atteggiamento di Montante fu che chi non era con lui era contro di lui". Lo ha detto Maria Lucia Di Buono, per 42 anni responsabile dell'amministrazione di Assindustria, questa mattina nel corso dell'udienza del processo sul cosiddetto Sistema Montante che si celebra, a Caltanissetta, con il rito ordinario a carico di 17 imputati. Maria Lucia Di Buono si riferisce al 2005, quando Antonello Montante divenne presidente di Confindustria Sicilia sostituendo proprio Pietro Di Vincenzo, l'imprenditore nisseno successivamente accusato di essere vicino alla mafia e poi assolto. Tra gli accusatori dell'ingegnere c'era pure Montante.
"Non ricordo perché dopo l'arresto dell'imprenditore Vincenzo Arnone nel 2001 non vennero presi provvedimenti dal direttivo di Confindustria. Fino a tale data Arnone era ritenuto una persona per bene"., ha invece detto Tullio Giarratano, allora direttore di Assindustria., nell'udienza di questa mattina, rispondendo alle domande dell'avvocato dell'ex presidente di Sicindustria Antonello Montante, Giuseppe Panepinto.
Montante è già stato condannato a 14 anni nel processo stralcio in abbreviato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Vincenzo Arnone è considerato un esponente della famiglia mafiosa di Serradifalco e fu testimone di nozze dello stesso Montante. "Dopo tale data non furono adottati provvedimenti ma si aspettò che le aziende di Arnone venissero escluse da Confindustria per morosità", ha aggiunto il teste. L'avvocato Panepinto ha poi precisato che il provvedimento di esclusione di Arnone venne adottato soltanto sotto la presidenza Montante.
L'ex presidente di Confindustria, ritenuto al centro di un sistema di corruzione finalizzato ad avere informazioni su inchieste in corso, è già stato processato e condannato a 14 anni in abbreviato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Secondo l'accusa, avrebbe svolto inoltre un'attività di dossieraggio contro chi riteneva a lui ostile. A Di Vincenzo che in questo processo è parte civile- condannato per estorsione a tre dei suoi dipendenti – venne confiscato il patrimonio valutato in 280 milioni di euro.