Pubblicato il: 04/05/2015 alle 08:15
Nell’ultimo ventennio la scuola italiana ha sentito ancora più forte l’impulso di riformarsi per adeguarsi agli standard internazionali dove gli studenti riescono ad entrare nel mondo del lavoro più giovani e con maggiore esperienza. Tante le modifiche che, però, hanno lasciato sempre più insoddisfatti gli “operatori del settore” e i docenti che hanno visto sempre più sgretolarsi l’eccellenza italiana e complicarsi il sistema di accesso al mondo professionale. Quando è diventato premier Matteo Renzi, marito di un’insegnante precaria, molti hanno tirato un sospiro di sollievo convinti che il sistema scolastico sarebbe cambiato e, questa volta, in meglio.
“La buona scuola”, slogan con il quale è stata presentata la riforma dell’istruzione italiana, però, non è ben vista da sindacati, docenti e personale amministrativo (ATA) che, addirittura, ritengono si tratti di “demolizione della democrazia che getterebbe la scuola in un clima clientelare nel quale il docente sarebbe imbavagliato”.
Le dichiarazioni “di guerra” contro il piano presentato dal governo, è diventato virale grazie anche al supporto delle moderne tecnologie e dei social network che hanno veicolato le rimostranze sollevate e vignette satiriche.
Quella di queste settimane è protesta che deve riguardare tutti: genitori che pretendono un sistema formativo di qualità, docenti precari e anche quelli di ruolo. La riforma, infatti, non riguarda soltanto gli insegnanti precari alla ricerca di un posto a tempo indeterminato ma anche chi rischia di finire negli albi territoriali nel caso in cui prosegua il calo di iscrizione negli istituti.
I rischio al quale si va incontro è quello di una selezione “ad personam” da un albo dal quale il dirigente, a sua discrezione, potrà selezionare il candidato più idoneo scartando quelli “più scomodi” tra cui, ad esempio, potrebbero essere inclusi genitori con figli piccoli o assistenti di parenti con disabilità (legge 104) o, ancora, dal carattere più burbero o severo. Lo stesso dirigente che potrà essere sollevato dall’incarico nel caso in cui cali il numero delle iscrizioni o non vengano approvati abbastanza progetti extra curriculari.
“La scuola – protestano gli insegnanti che cercando di aver voce in capitolo – non deve essere gestita esclusivamente con un criterio aziendale senza tenere in considerazione la continuità e la qualità dell'insegnamento e valutare, invece, il profitto degli studenti come merce”.
Allo sciopero di domani, 5 maggio, aderiranno le principali sigle sindacali. Molti docenti hanno invitato i genitori a sostenere la protesta e non mandare a scuola i propri figli nel caso in cui l’insegnante scelga di non aderire allo sciopero.