Pubblicato il: 09/07/2019 alle 08:54
“Un gruppo di imprenditori mi aveva convinto a partecipare a questa competizione. Però il signor Montante aveva i numeri, aveva dalla sua parte l’Eni e le Ferrovie dello Stato, e io no e quindi ho lasciato perdere”. Lo ha detto Salvatore Mistretta, sentito oggi come teste all’udienza del processo Montante, che si celebra in ordinario per 17 imputati, rispondendo all’avvocato di Antonello Montante, Carlo Taormina e ricordando il momento dell’elezione di Montante a presidente di Confindustria. “Ho lasciato Confindustria – ha chiarito Mistretta – perché l’approccio di questa nuova squadra mi ha fatto capire che non era più l’associazione che io frequentavo. Quando mi sono iscritto a Confindustria i miei progetti erano grandiosi. Volevo portare sviluppo nel nostro territorio. Il primo convegno lo avevo fatto a San Cataldo. Si era detto che per fare sviluppo era necessario confrontarci tra noi imprenditori. Con l’arrivo della nuova squadra capii che c’era un’aria diversa, che quel progetto non poteva più essere portato avanti. Montante mi disse di non andare via perché ero l’unico ad aver avuto grandi progetti. Lui mi disse dobbiamo prendere la Camera di Commercio, dobbiamo prendere l’Asi etc. A me questo approccio non piaceva. Perché a mio parere un’associazione di industriali doveva cercare di fare sviluppo e non andare all’arrembaggio. A pelle non mi piaceva questa nuova cordata. Perché l’associazione degli industriali era una cosa seria. Avevamo creato una zona industriale a San Cataldo Scalo che era un gioiello”. Mistretta ricorda poi di quando cercò di fare un’associazione insieme ad altri imprenditori e dovette rinunciare a quel progetto. “Abbiamo cercato di fare una nuova associazione, “Liberi imprenditori” e ci è stato impedito. Neanche il prefetto ci ha ricevuto. Eravamo un’ottantina. Il nostro obiettivo era lo sviluppo del territorio. Noi non eravamo contro nessuno, semplicemente non volevamo stare in Confindustria e volevamo una nostra associazione per avere un contatto diretto con le istituzioni. A me è dispiaciuta una cosa. Io sono una persona seria, corretta, e ho perseguito la vera legalità. Leggere in un articolo di giornale che Montante diceva ‘ho buttato fuori dieci imprenditori in odor di mafia’ ancora oggi mi offende. Da quel momento ho capito che c’era un’aria diversa, mi sono ritirato da tutto e da tutti e mi sono dedicato solo alla mia azienda.”. “In pochi mesi – ha continuato a raccontare Mistrettta – ho avuto tre verifiche da parte della Finanza. Non era più la cordata della legalità ma una forma di accanimento. Ero all’ospedale Sant’Elia, avevo una ferita ad un dito, quando ho ricevuto una telefonata da mio figlio impaurito, che c’erano circa 15 persone della Guardia di Finanza all’interno dell’azienda. Sono arrivato e ho trovato nel mio ufficio il maggiore Orfanello e il luogotenente Sanfilippo. Quest’ultimo mi chiede se avevo una cassaforte. Non avevo nulla da nascondere per cui l’ho aperta. Dentro c’era una busta dove c’era scritto ‘personale Mistretta’. Gli ho specificato che quella era una busta per i regali ai miei nipoti, dentro c’erano 300 euro. Quindi vedono che è tutto normale. Dopo due mesi arriva un nuovo controllo inviato dall’Asi. Mi trovano due motori antincendio con copertura e mi hanno denunciato per abusivismo”. (ANSA)