Pubblicato il: 09/07/2019 alle 10:04
Al di là del fatto che Giovanni Giudice fosse consapevole o meno che Rocco Luca (arrestato per associazione mafiosa esterna, ndr) contribuisse in parte al pagamento del prezzo di soggiorno della sua vacanza è evidente che il funzionario di polizia intendeva avvalersi della collaborazione dell’imprenditore per ottenere un forte sconto». Nell’ordinanza di custodia cautelare del gip di Caltanissetta che ha rigettato la richiesta di misura per Giudice si parla delle «pressioni» da parte dell’ex capo della Divisione anticrimine della questura di Perugia «per ottenere soggiorni estivi a prezzi di favore» ai tempi in cui prestava servizio in Sicilia. E' quanto riporta il quotidiano "Umbria 24" in un articolo a firma di Enzo Beretta.
«Un buon prezzo» «Tra i vari benefit che Rocco Luca si prodigava di far avere ad appartenenti alla Polizia di Stato – è scritto – vi era la concessione di appartamenti per trascorrere le vacanze estive a prezzi di favore». Stando a quanto ricostruito dalle indagini l’imprenditore si rivolgeva a un immobiliarista per la «concessione di abitazioni estive ai poliziotti». «Effettivamente – dice il gip – Giudice manifestava proprio a Rocco Luca l’interesse a prendere in affitto da Omissis un alloggio per una settimana dal 26 luglio al 2 agosto, a condizione che quest’ultimo gli avesse praticato un buon prezzo». Estate 2014. «Luca si dichiarava subito disponibile a contattare l’immobiliarista unitamente a Giudice (‘Tu dugnu dumani matina che lo chiamiamo assieme ok?‘) in modo da intercedere personalmente al fine di far praticare al funzionario un buon prezzo». Luca «contattava l’immobiliarista via sms il quale gli assicurava ‘per lui’ il prezzo di 800 euro a settimana ma nel comunicare a Giudice l’esito positivo della prenotazione gli riferiva il prezzo inferiore di 600 euro». Un importo all’evidenza basso di cui lo stesso Giudice «stentava a credere»: «Ma mi mannasti un messaggio sbaggliato a mia? … ah… ah! 600 euro, dal 26 al 2 agosto, 600 euro, va bene! va bene, grazie». Secondo il gip «è evidente l’intenzione di corrispondere di tasca propria le ulteriori 200 euro pretese dall’immobiliarista». I magistrati della Procura della Repubblica indicano nel capo d’accusa relativo alla presunta corruzione, tra le «altre utilità» ricevute da Giudice, anche la «vacanza». Nelle ultime pagine dell’ordinanza il gip parla della presunta inconsapevolezza di Giudice riguardo la differenza di prezzo ma sottolinea comunque le «pressioni per ottenere soggiorni estivi a prezzi di favore».
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L’«amico» Rocco e gli accessi allo Sdi«E’ emerso senza dubbio che Giudice ha effettuato, per interposta persona, accessi al sistema Sdi allo scopo di acquisire informazioni che prontamente riferiva a Rocco Luca». Secondo il gip «è palese come Giudice, dirigente della Divisione anticrimine della questura di Agrigento, abbia richiesto a voce a un suo subordinato, verosimilmente del tutto inconsapevole dell’illegittimità della richiesta, di eseguire l’accesso allo Sdi del Ministero dell’Interno e le consultazioni necessarie nell’interesse dei Luca riportandone subito dopo gli esiti all’indagato Rocco Luca». Nell’ordinanza vengono riportate le comunicazioni di Luca – intercettato – che il 19 giugno 2014, perciò poche settimane prima dell’accordo per le vacanze estive, parla col funzionario di polizia. «Conversazioni dalle quali inequivocabilmente emergeva esserci stato un interessamento del primo dirigente in favore dei due imprenditori di Gela per l’accertamento di eventuali attività di indagini in corso coinvolgenti la famiglia Luca». «Nun c’è nenti… va bene? – spiegava Giudice in una fugace telefonata a Rocco Luca agganciata dalla cella lontana solo poche centinaia di metri dalla questura agrigentina – zero zero». «Linguaggio estremamente sintetico ma inequivocabile» viene definito dalla magistratura. Salvo poi parzialmente correggersi qualche ora dopo: «Ci ho parlato… mi ha detto dice ’Sì, no… ha ragione Rocco…’ dice ‘la cosa eee… arriva di dda… e basta’». Proprio questa conversazione – è spiegato – «costituisce il corpo di reato di rivelazione di segreto d’ufficio e dimostra inequivocabilmente come Giudice, su richiesta di Rocco, si sia recato verosimilmente a Gela onde acquisire ulteriori informazioni su eventuali nuove attività di indagini che l’imprenditore sospettava fossero state avviate nei suoi confronti». «Effettivamente – scrive il gip in grassetto – l’informazione disvelata da Giudice corrispondeva alla realtà dello stato di indagini preliminari e, come tale, certamente coperta da segreto investigativo».
«Mercimonio della funzione pubblica» Stando a quanto riferito nel provvedimento del gip, il 18 giugno 2014, dunque il giorno precedente, Giudice aveva «appreso l’esigenza conoscitiva dell’ ‘amico’ Rocco» e si era «messo a sua disposizione per provvedere l’indomani sia ad effettuare un controllo allo Sdi per verificare l’eventuale inserimento di una segnalazione di polizia giudiziaria che potesse giustificare l’iscrizione del nuovo fascicolo di indagati, sia a recarsi a Gela presso un soggetto indicato da Luca come ‘amica mia’ dal quale acquisire notizie riservate sull’oggetto del procedimento modello 21. Giudice adempirà in aperta violazione dei suoi doveri d’ufficio a entrambe le incombenze». E a «ulteriore riscontro del contestato rapporto corruttivo che da tempo si era instaurato tra Salvatore e Luca Rocco, da un lato, e Giovanni Giudice dall’altro, occorre dare atto di ulteriori incontri tra quest’ultimo e Rocco verificatisi nel corso delle attività di indagine che testimoniano l’incondizionata messa a disposizione del pubblico ufficiale nei confronti degli imprenditori gelesi». «Dagli approfondimenti investigativi espletati sono state riscontrate dal 2007 al 2015 una serie di prestazioni e/o agevolazioni di natura patrimoniale effettuate dai Luca in favore di Giovanni Giudice – si legge nell’ordinanza cautelare -. Se osservate in corrispondenza alle condotte contrarie ai doveri d’ufficio, ben costituiscono plurime dazioni di utilità che il pubblico ufficiale ha percepito nel corso degli anni in ragione del prolungato mercimonio della funzione pubblica, asservita agli interessi dei coindagati».