Parole sprezzanti, atteggiamenti stizziti, imposizioni umilianti nei confronti di un bambino autistico di otto anni. Il vocabolo più ricorrente usato dalla maestra era «schifo»: quando lo scolaro si toglieva le scarpe, o non riusciva ad appendere il giubbotto all’attaccapanni, o faticava a soffiarsi il naso, o si sporcava il giubbotto. Il pubblico ministero Fabrizio Alessandria sintetizza questi comportamenti nel reato di maltrattamenti contestato a un’insegnante con la funzione di educatrice, che lavorava in una scuola elementare di Alessandria.
Il pm ha firmato, in questi giorni, l’avviso di chiusura indagini notificato all’educatrice quarantasettenne e anche a una seconda indagata, maestra di sostegno del bambino, su cui gravano accuse meno gravi: il reato ipotizzato per lei è l’abuso dei mezzi di correzione.
Non ci sono botte, ma la descrizione di maniere rozze e sgarbate nei confronti di un bambino affetto da una grave forma di autismo che lo rende per nulla autosufficiente, evidenzia fatti di gravità umanamente insopportabile. Quello deve aver percepito la madre del piccolo: il dolore per aver lasciato fiduciosa questo figlio particolarmente fragile a chi si sarebbe preso cura di lui con gesti e modi né amorevoli né educativi.
Benché la sensorialità dell’alunno sia fortemente minata dalla patologia, la percezione della sofferenza è viva. Lo dimostra il fatto che la madre si è accorta che qualcosa non andava, grazie al linguaggio speciale che unisce la mamma al suo piccolo. Non parole precise, ma segnali: il mal di pancia, certe lagnanze inconsuete. È andata a fondo e ha intuito che l’origine del malessere proveniva da lì.
Ha deciso due cose: ha tolto l’alunno dalla scuola e ha presentato una querela.