Pubblicato il: 12/02/2020 alle 08:29
Leonardo Sciascia ha scritto: «È ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia un cretino. […] e dunque una certa malinconia, un certo rimpianto, ci assalgono tutte le volte che ci imbattiamo in cretini adulterati, sofisticati. Oh i bei cretini di una volta! Genuini, integrali. Come il pane di casa. Come l'olio e il vino dei contadini».
Lo scorso 2 febbraio, su Sicilian Post, all’interno della rubrica Sicilitudine, è stato pubblicato un bell'articolo di Joshua Nicolosi intitolato: «Da Pasolini ai premi Nobel: ecco come Caltanissetta diventò la Piccola Atene». Scrive Nicolosi: «A cavallo tra gli anni '40 e il secondo Dopoguerra, Caltanissetta rappresentò un nucleo di cultura e fermento intellettuale quasi irripetibile, tanto che Leonardo Sciascia, che lì aveva trascorso i suoi anni da studente adolescente, arrivò a definirla "Piccola Atene". Il merito fu di un suo omonimo, benché non parente: Salvatore Sciascia, fondatore di una storica libreria e di una prestigiosa casa editrice. Simbolo di libertà negli anni del fascismo e della nascente mafia, pubblicò personaggi del calibro di Vitaliano Brancati, Alberto Bevilacqua, Vicente Aleixandre (premio Nobel 1997), Pier Paolo Pasolini, Nino Savarese, Rosso di San Secondo, Leonardo Sciascia».
Continua Nicolosi: «Fin dagli anni ’30, ben prima che venissero fondate libreria e casa editrice, Salvatore Sciascia aveva avuto la lungimiranza di formare quel circolo di intellettuali che, nel Dopoguerra, avrebbero coronato i suoi sforzi a suon di opere di straordinaria importanza. Il sapere è rifiuto dell’oppressione, baluardo contro ogni imposizione, motivata ribellione al controllo totalitaristico. Salvatore Sciascia lo sapeva bene e in un momento in cui imperversava l’ombra minacciosa del Fascismo nel suo apogeo – le leggi razziali risalgono esattamente a quel momento, tra il 1938 e il 1939 – Caltanissetta diveniva fortezza della sana critica, capofila di un movimento rivoluzionario che opponeva allo stridere delle armi il peso delle parole e l’ardire di essere visionari, e al nascente malaffare mafioso un’irriducibile indagine sociale. In questo modo il libero pensiero fluiva e irrorava il nisseno. Un flusso oggi non esattamente valorizzato a dovere, e certamente meno impetuoso. Ma pur sempre presente. Traccia indelebile per un futuro che da lì possa ripartire».
Il buon Joshua Nicolosi, filologo, è un ottimista. E comunque, egli certamente attribuisce alla forza delle idee il potere di rigenerare, modificare la realtà. Giustamente. Ma le idee – come i fiori, come le piante – hanno bisogno di cura, di attenzione, di un humus culturale favorevole. Hanno bisogno di una società che si ispiri a riconosciuti principi e valori. Hanno bisogno, quantomeno, di un contesto non ostile. Non certamente di un contesto cieco e sordo. Nell’esiziale “cortile” contemporaneo nel quale oggi siamo costretti ad abitare si praticano la chiacchiera se non la maldicenza, la ruffianeria e la furberia, la narcisistica autoreferenzialità e l’ottuso spirito di corpo. L’esibizionismo e l’opportunismo. E si sceglie spesso, troppo spesso, l’interesse spicciolo, diretto, personale rispetto all’interesse collettivo. Si prediligono le scontate parole d’ordine, gli stereotipi e le banalità. Prospera la vacuità. Questo è, con poche eccezioni, il “cortile”, il brodo esistenziale nel quale siamo immersi, in questa nostra città. Una città sfibrata, sfiancata da troppe periferie. Una città sfibrata, sfiancata da troppe illusioni e troppi inganni. Da troppe promesse mancate. Da troppe spudorate imposture. Una città in cui i tessuti abitativi storici sono in evidente disfacimento. Così come in disfacimento sono, ormai, troppe famiglie, troppe relazioni. Una città in cui in pochi, ormai, sono capaci di indignarsi. E i giovani vanno via. Inesorabilmente.
Diciamolo: del circolo di intellettuali straordinari, delle loro idee, della loro preziosa linfa di libertà e di progresso è rimasto davvero poco o nulla. Persino i luoghi di quella peculiare esperienza sono stati cancellati: la Libreria Sciascia, in corso Umberto I 111, non esiste più da diversi anni. Certo, esistono, permangono i documenti, i libri, le riviste: ma a chi importa, ormai, di tutto questo, in questa città? Dunque? Imploderemo, scompariremo travolti da un’inesorabile mediocrità esistenziale, o, malgrado tutto, saremo capaci di ritrovare quella «traccia indelebile per un futuro che da lì possa ripartire»?
Leandro Janni