Pubblicato il: 02/05/2020 alle 17:47
La sindrome di Kawasaki dei bambini è curabile. “L’importante è che la terapia venga iniziata in tempo” raccomanda Alberto Villani, presidente della Società Italiana di Pediatria (Sip) e primario all’ospedale romano Bambino Gesù. “Sappiamo che in questo periodo la paura del coronavirus sta tenendo molte persone lontane dagli ospedali. Ma è un errore grave. La mia raccomandazione è quella di non sottovalutare i sintomi spia: febbre sopra 38,5 per cinque giorni che non risponde a terapia, congiuntivite, linfonodi del collo ingrossati, gonfiore sul dorso delle mani o dei piedi, labbra e lingua ingrossate, macchie sul corpo”.
La sindrome di Kawasaki è una malattia rara, che in Italia tocca 250-400 bambini ogni anno. Colpisce soprattutto al di sotto dei 5 anni e sembra che si stia presentando più frequentemente del solito nelle aree molto colpite dal coronavirus. Lo hanno notato i pediatri inglesi, francesi e americani. In Italia l’allarme è stato dato dai medici di Bergamo. “Anche noi al Gaslini abbiamo visto cinque casi in tre settimane. Normalmente ne vediamo otto o nove all’anno” spiega Angelo Ravelli, primario di reumatologia all’ospedale pediatrico di Genova, docente all’università e responsabile del gruppo di reumatologia della Sip. A lui la Società dei pediatri ha dato l’incarico di monitorare la situazione in tutta Italia. “Abbiamo mandato una lettera a 11 mila pediatri e aperto un canale di segnalazioni”. Un legame con il coronavirus non è ancora stato confermato. “La Kawasaki è nota dal 1967. Non ne conosciamo la causa esatta, ma c’era già il sospetto che potesse avere a che fare con un’infezione. Nel 2005 fu segnalato un caso, rimasto isolato, legato a un coronavirus. Dei 5 bambini curati al Gaslini, 2 erano positivi al tampone. Anche gli altri erano entrati in contatto con persone infettate. Alla fine sono tutti guariti bene”.
Come negli adulti che si ammalano gravemente di Covid, anche nella Kawasaki il sistema immunitario si attiva in maniera caotica e spropositata. Nei bambini i problemi non riguardano tanto i polmoni, quanto il cuore. Ad infiammarsi sono le arterie. “E, nel caso del coronavirus, abbiamo visto che lo stesso muscolo del cuore può essere coinvolto” precisa Ravelli. “Senza un trattamento, nel 25% dei casi vediamo svilupparsi un aneurisma”. Si tratta di una dilatazione delle arterie pericolosa, che porta al ricovero dei casi più gravi in terapia intensiva. “Ma essendo una malattia nota da tempo, abbiamo una terapia efficace. Il rischio di aneurismi può essere ridotto al 4-5% con la somministrazione di alte dosi di immunoglobuline”. Da un donatore di sangue si prelevano cioè gli anticorpi, che vengono infusi nel corpo dei bambini. “Non sono anticorpi contro il coronavirus. Sono anticorpi generici. Non sappiamo bene con quale meccanismo, ma riescono a calmare la tempesta infiammatoria che si scatena nell’organismo”.
In pochi giorni le immunoglobuline fanno passare la febbre, le eruzioni cutanee, i disturbi gastrointestinali e gli altri sintomi. “Possono esseri dei casi resistenti, circa un quinto, che si ammalano di nuovo dopo la fine del trattamento. Ma abbiamo delle terapie anche per loro. Oltre al cortisone, se la tempesta di citochine scatenata dal sistema immunitario è molto intensa, si possono usare farmaci antinfiammatori. Uno è il famoso tocilizumab che viene somministrato in via sperimentale anche agli adulti con il Covid” prosegue Ravelli. Per mettere insieme i dati provenienti da tutto il mondo, stasera circa 30 mila pediatri di ciascun paese si incontreranno in teleconferenza e faranno il punto sulle loro osservazioni. “Può essere l’occasione giusta – secondo il medico – per gettare luce dopo oltre 50 anni sulle cause della sindrome di Kawasaki. E se un vaccino contro il coronavirus verrà trovato, potremmo forse anche curarla all'origine". (Repubblica.it)