Pubblicato il: 21/05/2020 alle 07:20
Una maxi operazione della Guardia di Finanza ha svelato un intreccio perverso su un sistema che avrebbe consentito di pilotare appalti milionari della Sanità in Sicilia. L'indagine, che coinvolge imprenditori e funzionari pubblici, ha portato all'arresto di dieci persone accusate, a vario titolo, di corruzione. Gli investigatori avrebbero accertato un giro di mazzette che ruotava intorno alle gare indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e dall'Asp 6 di Palermo per un valore di quasi 600 milioni di euro. Con dei nomi illustrissimi, da far tremare i polsi. Primo fra tutti Antonino Candela, attuale coordinatore della struttura regionale per l’emergenza coronavirus, ex commissario straordinario e direttore generale dell’Asp 6 di Palermo, finito agli arresti domiciliari insieme ad altre sette persone nell'operazione "Sorella Sanità". In carcere, invece, sono finiti Fabio Damiani, attuale direttore generale dell’Asp 9 di Trapani, e un suo "faccendiere", Salvatore Manganaro.
Su delega della Procura della Repubblica di Palermo, i finanzieri di Palermo hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal Gip del Tribunale del capoluogo nei confronti di 12 persone, a vario titolo indagati per corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione, rivelazione di segreto di ufficio e turbata libertà degli incanti.
Custodia cautelare in carcere, come detto, per Fabio Damiani, 55 anni, e Salvatore Manganaro, 44 anni. In otto ai domiciliari: con Antonino Candela anche Giuseppe Taibbi, 47 anni, Francesco Zanzi, romano di 56 anni, amministratore delegato della Tecnologie Sanitarie S.p.a., Roberto Satta, di Cagliari, responsabile operativo della Tecnologie Sanitarie S.p.a., Angelo Montisanti, 51 anni, responsabile operativo per la Sicilia di Siram S.p.a. e amministratore delegato di Sei Energia, Crescenzo De Stasio, 49 anni, di Napoli, direttore unità business centro sud di Siram, Ivan Turola, 40 anni, di Milano, e Salvatore Navarra, 47 anni, di Caltanissetta, presidente del consiglio di amministrazione di Pfe.
Nei confronti di Giovanni Tranquillo, 61 anni, di Catania, e Giuseppe Di Martino, 63 anni, di Polizzi Generosa, è stata invece applicata la misura del divieto temporaneo di esercitare attività professionali, imprenditoriale e pubblici uffici.
Il gip ha disposto anche il sequestro preventivo di 7 società, con sede in Sicilia e Lombardia, nonché di disponibilità finanziarie per 160.000 euro, che corrisponde all'ammontare accertato delle tangenti già versate: le mazzette promesse ai pubblici ufficiali raggiungono, però, una cifra pari ad almeno un milione e 800 mila euro.
Le complesse indagini eseguite dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria delle fiamme gialle palermitane – svolte con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti, pedinamenti, videoriprese, esami documentali e dei flussi finanziari – hanno consentito, si legge dalle carte delle autorità, "di ipotizzare l’esistenza di un centro di potere composto da faccendieri, imprenditori e pubblici ufficiali infedeli che avrebbero asservito la funzione pubblica agli interessi privati, in modo da consentire di lucrare indebiti e cospicui vantaggi economici nel settore della sanità pubblica".
Secondo gli investigatori il "sistema corruttivo" ruotava intorno alle gare indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e dall’Asp 6 di Palermo, con appalti milionari nel settore sanitario siciliano. Nello specifico sono state analizzate 4 procedure ad evidenza pubblica interessate da condotte di turbativa, aggiudicate a partire dal 2016, il cui valore complessivo sfiora i 600 milioni di euro, come gestione e manutenzione apparecchiature elettromedicali (bandita dall’Asp 6) dal valore di 17.635.000 euro, i servizi integrati manutenzione apparecchiature elettromedicali dal valore di 202.400.000 euro, la fornitura di vettori energetici, conduzione e manutenzione impianti tecnologici (bandita dal Asp 6) dal valore di 126.490.000 euro e i servizi di pulizia per gli enti del servizio sanitario regionale dal valore di 227.686.423 euro.
Gli inquirenti non esitano a definire "spregiudicate" le condotte del personale dei pubblici ufficiali infedeli e dei loro intermediari, con addirittura l’applicazione di un tariffario che si aggirava intorno al 5% del valore della commessa aggiudicata.
Gli operatori economici vincitori delle gare, importanti società di livello nazionale, secondo gli inquirenti, erano consapevoli e partecipi delle dinamiche criminali dalle quali traevano un vantaggio che avrebbe remunerato nel tempo il pagamento delle tangenti.
Lo schema illecito, ricostruito dagli specialisti anticorruzione del Gruppo Tutela Spesa Pubblica del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, appariva consolidato e ormai quasi automatico. In poche parole, l’imprenditore interessato all’appalto avvicinava il faccendiere, il quale, d’intesa con il pubblico ufficiale, concordava con l’impresa corruttrice le strategie per favorire l’aggiudicazione della gara. A quel punto la società, ricevute notizie dettagliate e riservate, presentava la propria “offerta guidata”, che veniva poi adeguatamente seguita fino all’ottenimento del risultato, cioè la vittoria della gara.
Le condotte scorrette emerse nel corso dello svolgimento delle procedure riguardano l’attribuzione di punteggi discrezionali che non riflettevano il merito del progetto presentato, la sostituzione delle buste contenenti le offerte economiche, il pagamento di stati di avanzamento del lavoro anche in mancanza della documentazione che li giustificava, la diffusione di informazioni riservate, coperte da segreto di ufficio.
I pagamenti delle tangenti in alcuni casi avvenivano con la "classica" consegna di denaro contante nel corso di incontri riservati, ma molto più spesso venivano invece mimetizzati attraverso complesse operazioni contabili instaurate tra le società aggiudicatarie dell’appalto e una galassia di altre imprese, intestate a prestanomi, ma di fatto riconducibili ai faccendieri di riferimento per i pubblici ufficiali corrotti.
Per rendere ancora più complessa l’individuazione del sistema criminale approntato, gli indagati si erano spinti fino alla creazione di trust fraudolenti, con l’obiettivo di schermare la reale riconducibilità delle società utilizzate per le finalità illecite.