Pubblicato il: 19/08/2020 alle 08:44
Si abbassa l’età dei contagiati: se nei primi mesi della pandemia emergevano nella grande maggioranza i casi registrati in persone anziane, adesso le infezioni sono rilevate soprattutto nei giovani, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) rileva che a spingere la pandemia sono i contagi che avvengono fra chi ha da 20 a 40 anni. La guardia deve quindi restare alta, considerando i rischi per le fasce d’età più vulnerabili.
“L’epidemia sta cambiando e le persone di 20, 30, 40 anni stanno sempre di più pilotando la diffusione“, ha detto il direttore dell’ufficio del Pacifico Occidentale dell’Oms, Takeshi Kasai. “Molti non sanno di avere l’infezione – ha aggiunto – e ciò aumenta il rischio di contagio dei più vulnerabili”. Una preoccupazione confermata in Italia dalla curva delle nuove diagnosi di infezione, che continua a salire nonostante le fisiologiche oscillazioni quotidiane. I dati del ministero della Salute indicano che nelle ultime 24 ore si sono registrati 403 casi, 83 più di ieri e concentrati soprattutto in Veneto (60) e Lombardia (50); contemporaneamente aumentato il numero di tamponi: quasi 54.000 contro i 30.000 del 18 agosto. I decessi sono stati cinque, contro i quattro del giorno precedente.
I dati italiani confermano anche i timori dell’Oms relativi ai rischi legati all’aumento dei casi da asintomatici e fra i giovani. I numeri più recenti diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità indicano, per esempio, che all’11 agosto il 51,5% dei casi di infezione (pari a 9.303) era da individui asintomatici, l’8,9% da persone con sintomi molto lievi (1.616) e il 22,6% (22,6%) da persone con sintomi lievi. I dati italiani indicano inoltre che l’età mediana dei casi confermati di infezione da Sars-CoV-2 è scesa dagli oltre 60 anni registrati nei primi due mesi dell’epidemia ai 35 anni di quest’ultimo periodo. Sempre nelle ultime settimane si è assistito a un incremento dei casi nella fascia di età compresa fra 0 e 18 anni. La stessa tendenza emerge dai dati Istat relativi ai primi risultati dei test sierologici condotti a campione sulla popolazione italiana e relativi a quasi 65.000 persone. Emerge infatti che oltre il 48% dei casi positivi ha meno di 50 anni e che fra questi il 13,1% ha meno di 17 anni, il 14,8% ha fra 18 e 34 anni e il 20,2% ha fra 35 e 49 anni.
La maggior parte dei casi riguarda ancora gli ultracinquantenni, con il 19,9% di casi positivi nella fascia d’età compresa fra 50 e 59 anni, il 13,3% fra 60 e 69 anni e il 18,7% fra chi ha più di 70 anni. “L’età media dei casi di infezione varia a seconda di chi è stato sottoposto a tampone: attualmente si fanno tamponi in prevalenza a persone che tornano dall’estero o a contatti di persone infettate, quindi in persone molte delle quali sono del tutto asintomatiche e spesso giovani”, ha osservato l’infettivologo Massimo Galli, dell’Università di Milano e primario dell’ospedale Sacco. “Al momento del grande disastro – ha detto riferendosi alle prime fasi dell’epidemia in Italia – si facevano tamponi solo ai pazienti gravi, che erano in maggioranza anziani. Gli anziani, come dimostrano varie evidenze, compresi i nostri dati di Castiglione d’Adda, non solo sviluppano un’infezione più grave, ma sono anche più suscettibili dei giovani all’infezione, si infettano più facilmente”. Adesso però “gli anziani hanno imparato a essere prudenti, a proteggersi, ma bisogna evitare che l’infezione esca di controllo e si estenda di nuovo alle fasce più fragili”.
A far scattare il campanello d’allarme sono i ricoveri nelle unità di terapia intensiva: “stiamo cominciando a rivedere casi che necessitano di ricovero in rianimazione, anche se pochi, per fortuna. Nel mio ospedale – ha detto Galli – le persone intubate sono due, nemmeno particolarmente anziane, tornate da un viaggio all’estero: tocca per forza continuare a raccomandare cautela e il rispetto per le misure di prevenzione”. (ANSA)