Pubblicato il: 31/01/2016 alle 17:49
Si è conclusa positivamente la vicenda di un dipendente pubblico che, per far fronte alle esigenze della propria famiglia, aveva assunto debiti per 200mila euro. E’ approdata, quindi, a Enna la legge 3 del 2012 meglio nota come salva-suicidi, a seguito dell’istanza presentata dall’impiegato, che, senza colpa, si è trovato a dovere fronteggiare rate di debito per complessivi 1.897,25 euro mensili rispetto ai circa 2mila euro lordi della propria retribuzione.
Causa di questa condizione finanziaria deve essere ricercata nella improrogabile necessità di provvedere ai propri familiari, quando per esigenze di lavoro veniva costretto a spostare più volte la propria dimora e residenza, la moglie casalinga si ammalava e i due i figli cercavano di concludere gli studi. Tutto questo dopo avere acceso e rimodulato un mutuo utilizzato dapprima per l’acquisto della casa di abitazione familiare e dopo per la sua ristrutturazione. Difeso dall’avvocato Giuseppe Fussone, affiancato dall’avvocato Luisa Di Vita, G.L. ha, dunque, chiesto l’applicazione della legge n. 3/2012, al fine di potere avvalersi delle procedure ivi previste e, in particolare del Piano del Consumatore, che permette, anche senza il consenso dei creditori, di abbattere l’ammontare complessivo dell’importo dovuto, in presenza del requisito della non colpevolezza nell’assunzione dei debiti assunti.
Iniziava così la strada verso l’esdebitazione del pubblico dipendente, che conduceva alla nomina da parte del Tribunale del Commercialista Antonio Balsamo quale Organismo di Composizione della Crisi, ossia l’organo chiamato a verificare la veridicità dei dati indicati dal debitore, la fattibilità del piano e la ragionevolezza nell’assunzione dei debiti.
Nel caso di specie, il pubblico dipendente, affiancato da un team esperto di professionisti, è riuscito a dimostrare che i diversi debiti erano stati contratti nella ragionevole prospettiva di poterli soddisfare e che solo per ragioni indipendenti dalla propria volontà avevano assunto proporzioni non più gestibili. In questo modo, conseguiva un importante risultato, ossia quello di arrivare ridurre l’importo della rata mensile da corrispondere, con l’ulteriore conseguenza di impedire l’inizio di procedure esecutive a proprio carico. Il Tribunale ha quindi emesso un importante principio di diritto, riconoscendo che non possa ritenersi colposo il comportamento di un debitore che si sia indebitato per esigenze determinate dalla necessità di ristrutturare l’abitazione, far fronte a debiti precedentemente assunti, nonché per sopperire alle esigenze della famiglia. Purtroppo ancora poco conosciuta nei Tribunali italiani, la legge “salva suicidi” è stata formulata proprio per dare una risposta concreta a quei soggetti, non sottoponibili alle procedure di fallimento, che si siano venuti a trovare, incolpevolmente, in una condizione di “sovraindebitamento”, ossia di oggettiva impossibilità a saldare i debiti assunti. Con questo obiettivo, il legislatore ha, dunque, istituito il diritto di un debitore, al quale non possa essere imputata la responsabilità della propria situazione finanziaria, di essere messo nella condizione di assolvere agli obblighi assunti.