Pubblicato il: 16/10/2020 alle 17:59
Gli artisti, si sa, sono sensibili. Intuitivi. E forse persino profetici. Insomma, essi avvertono prima degli altri ciò che accadrà. O meglio, vedono più lucidamente, rispetto ai comuni mortali, ciò che sta accadendo. Cosa hanno in comune, cosa lega i due progetti d’arte contemporanea “Aperta-mente” – di Carlo Sillitti, e “Pace Nostra” – di Alberto Antonio Foresta?
Essi hanno in comune un luogo in disfacimento: ovvero il centro storico di Caltanissetta. Un luogo e i suoi spazi. In disfacimento. Se l’arte contemporanea è, generalmente, una “catastrofe da camera”, in questi due peculiari casi la catastrofe è esterna (un esterno ormai claustrofobico – però). Gli interventi artistici esprimono, in qualche modo, uno spirito intimo. Domestico. Ma non rassicurano. Anzi! Le due di-sperate operazioni di “trasfigurazione” dell’esistente, dei nostri Sillitti e Foresta, generano inquietudine. Così come certe maschere, o certi tatuaggi. Il fatto è che sotto la pelle, sotto le citazioni pittorico-letterarie in forma di codice miniato, o sotto gli evocativi stracci colorati “sull’onda”, c’è un corpo morto. Il corpo morto – “moribondo” – della città. E forse persino di una civiltà.
E hai voglia a parlare di “ri-generazione” se non c’è comunità, se non c’è un’idea di città. Se non c’è un progetto per la città. E poi, non c’è niente da fare: la “struttura” ha le sue leggi, le sue regole e i suoi tempi. La “sovrastruttura” è importante, ma da sola non basta. E comunque, non c’è “urbs” senza “civitas”. Ma l’arte, come sempre, è la menzogna che ci permette di conoscere la verità. Quantomeno.
Prof. Leandro Janni, presidente di Italia Nostra Sicilia