Sono un medico COVID-19 e mi sono laureata da poco. Non ho ancora la pergamena, perché si sa, ci vuole tempo per queste cose e comunque c’è stato il lockdown. Sono stata assunta da poche settimane e inizio, in questo periodo storico anomalo e difficile, la mia carriera lavorativa. Non ho grandi esperienze, ma mi sono messa completamente a disposizione dell’emergenza per il mio territorio, per la mia regione, per la mia provincia.
Comincio come molti miei colleghi, un po’ spaesata, ma imparo in fretta. Loro sono qui da qualche mese, sono alla squadra tamponi, al Pronto Soccorso, al Recall telefonico. Fanno ore e ore con le mascherine, le visiere, il sudore e la paura. Paura che presto o tardi questo virus se lo portano a casa, dai genitori, dai nonni, dai figli, ma comunque non si fermano. Sono qui fino a mezzanotte, la domenica, finiscono nel loro reparto e vanno ad aiutare negli altri, perché? Perché c’è bisogno.
Fa impressione sentire al telefono la tosse di una persona, l’affanno, il terrore, le domande a cui non sai rispondere. Fa impressione vedere intubato qualcuno che fino a poche ore fa ti aveva chiesto se poteva tenere il telefono sul comodino. Fa impressione. Eppure nessuno si è mai fermato, né noi, né tutti gli altri.
Ci chiediamo quando finirà, se potremo un giorno ritornare a vederci sorridere. Ci chiediamo come mai ad oggi il nostro sacrificio, il nostro entusiasmo, la nostra insonnia, il nostro impegno non venga percepito e riconosciuto. Ci chiediamo come mai invece di ricevere supporto, riceviamo solo critiche, da chi, tra l’altro, dovrebbe difenderci e tutelarci. Ci chiediamo come mai è così grave un ritardo di 48h nel comunicare un esito, in confronto a quello che sta succedendo. Ci chiediamo come mai chi parla e attacca è sempre dall’altra parte, sul divano davanti ad uno schermo e non da questa parte a reprimere la paura e la stanchezza e a dover prendere decisioni difficili. Questo non aiuta.
Questo non ci fa sperare in una società che mette al primo posto il bene comune e non il proprio. Questo ci fa arrabbiare ci rattrista e ci delude.
I casi nelle ultime settimane si sono moltiplicati. Intere comunità, famiglie, paesi da controllare, a cui fare tamponi, da contattare, da rassicurare, da monitorare, sia telefonicamente che di persona.
Sono arrivati i rinforzi, ma ancora non basta.
Per questo nell’ultimo mese si è reso necessario l’implemento di sanitari e giovani colleghi, mandati a potenziare le squadre tamponi, i reparti in prima linea, i pronto soccorso, i centralini già oberati e saturi da tempo, ma non solo. La pandemia ha creato rallentamenti e difficoltà all’intero sistema sanitario. Oggi nessun reparto è esente, tutti hanno bisogno di supporto e personale per poter fronteggiare non soltanto l’emergenza COVID, ma anche le quotidiane emergenze sanitarie.
Ne stanno arrivando altri. Stiamo lavorando costantemente, imparando dai nostri errori, per migliorare e migliorarci.
Nessuno si è mai fermato.
Nessuno pranza, riesce a vedere la famiglia, eppure continua ad essere pronto ad un altro giorno, ad un’altra settimana, ad un altro mese di questa pandemia. Nessuno ha idea di cosa vedrà quella mattina, eppure siamo qui.
C’è chi si domanda dove siano i medici assunti per l’emergenza e che cosa facciano, c’è chi invoca addirittura gli atti per una personale verifica.
Non è necessario: li troverà nei Pronto Soccorso di tutta la provincia, li troverà a casa dei pazienti positivi mentre si vestono per la visita, al telefono cercando di ricostruire i contatti di una persona e arginarne il contagio, li troverà davanti il monitor di un malato mentre guarda la saturazione che oscilla, li troverà dentro ogni reparto dove c’era e c’è bisogno di rinfrancare le forze.
Si chiede da mesi il senso di responsabilità a tutti i cittadini, si richiede sacrifico, si richiede pazienza, noi ce l’abbiamo e ce l’avremo per tutti, e voi?
L’emergenza è globale, ogni regione sta mettendo in atto misure straordinarie per arginare l’epidemia. I ritardi ci sono e ci saranno, e sono presenti in ogni parte della nazione, come riferito da altri colleghi che stanno operando da Nord a Sud.
L’entusiasmo e la voglia di vincere questa guerra noi le stiamo mettendo in campo, ma abbiamo bisogno di tutti. Il nemico è invisibile, è un virus ed è molto contagioso, ma certe affermazioni ed interventi, che seminano sfiducia e rabbia verso un sistema già pesantemente sotto pressione, risultano decisamente più pericolosi e letali.
La stanchezza dell’ultimo periodo non è niente di fronte alla frustrazione che dilaga tra di noi adesso. Avremmo bisogno di supporto ed incoraggiamento, per poterlo dare a nostra volta ai pazienti con cui ogni giorno veniamo a contatto. Ci aspettiamo che la cittadinanza e la politica stiano dalla nostra parte, dalla parte di giovani medici, forse un po’ folli, che stanno affrontando in prima linea questa battaglia, armati soltanto di passione, dedizione e buone intenzioni.
Ilaria Saia, Calogero Liotta, Federico Avanzato, Giovanni Bonadonna.