Pubblicato il: 07/01/2021 alle 19:44
Il Covid-19 è una malattia seria che può compromettere diversi apparati del nostro organismo in modo più o meno durevole. Una delle conseguenze riscontrate a lungo termine è quella che viene chiamata «nebbia cognitiva», di cui ha parlato recentemente la biologa Barbara Gallavotti: «Il Covid può influire sulle nostre capacità mentali a medio e lungo termine – ha ricordato in tv -: in molti, una volta guariti, lamentano una specie di nebbia e stanchezza mentale, sono i cosiddetti “strascichi”. Questi sintomi sembra che riguardino una persona su venti. E si tratta di individui giovani, tra i 18 e i 49 anni».
Caratteristiche della «nebbia cerebrale»
I sintomi cognitivi possono includere perdita di memoria (di solito a breve termine), confusione, difficoltà di concentrazione. C’è chi dimentica viaggi di poche settimane prima, chi la foggia della propria macchina, chi nomi specifici relativi a procedure di lavoro che conosce da anni. Questi sopravvissuti al Covid affermano che la «nebbia cerebrale» sta compromettendo la loro capacità di lavorare normalmente: per loro ci vuole più tempo per portare a termine i compiti e spesso si sentono confusi e sopraffatti. Non è ancora chiaro chi colpisca maggiormente questo disturbo, ma alcuni dati sembrano suggerire che sia uno dei sintomi della «sindrome post-Covid» o «long-Covid», termine che descrive una serie di problematiche che durano per mesi, dopo la guarigione «ufficiale» dalla malattia.
Le cause
Il virus ha quindi innegabili effetti neurologici e la «nebbia nel cervello» non è il peggiore: i pazienti lamentano mal di testa, affaticamento e perdita del gusto e dell’olfatto, che possono durare da settimane a mesi dopo l’infezione. Nei casi più gravi, il Covid-19 può anche portare a encefalite o ictus. Il modo in cui SARS-CoV-2 colpisce le cellule nervose rimane ancora un «mistero». Le teorie principali sono che i problemi si verifichino quando la risposta immunitaria al virus non si arresta (processo comune a molte malattie autoimmuni) o siano causati dall’infiammazione presente nei vasi sanguigni che portano al cervello. «La risposta più semplice è che le persone hanno ancora un’attivazione immunitaria persistente dopo che l’infezione iniziale si è attenuata», ha affermato al NYT il dottor Avindra Nath, capo del Dipartimento Infezioni del sistema nervoso presso l’Istituto nazionale dei disturbi neurologici e dell’ictus. Le molecole infiammatorie, rilasciate in risposte immunitarie efficaci «possono anche essere una sorta di tossine, in particolare per il cervello», ha detto Serena Spudich, capo del Dipartimento Infezioni neurologiche e neurologia globale presso la Yale School of Medicine. (Corriere.it)